In un momento difficile per l’economia e l’occupazione “occorre intervenire con decisione per impedire le vendite sottocosto di cibi e bevande che si spingono le aziende agricole ed alimentari alla chiusura in un momento in cui è fondamentale difendere la sovranità alimentare del Paese con l’emergenza pandemia che ostacola gli scambi e favorisce accaparramenti e speculazioni”. E’ quanto ribadisce Coldiretti Sondrio in riferimento alla necessità di un serio intervento normativo del parlamento contro le pratiche commerciali sleali ad integrazione della Direttiva UE 2019/633.
Il massiccio ricorso attuale alle offerte promozionali da parte della distribuzione – sottolinea la Coldiretti provinciale – “non può essere scaricato sulle imprese di produzione già costrette a subire l’aumento di costi dovuti alle difficili condizioni di mercato. Per ogni euro speso dai consumatori per l’acquisto di alimenti, in media meno di 15 centesimi in Italia – rimarca il presidente provinciale Silvia Marchesini – vanno a remunerare il prodotto agricolo per effetto delle distorsioni e delle speculazioni che si verificano lungo la filiera a causa degli evidenti squilibri di potere contrattuale”.
“Un’ingiustizia profonda che va combattuta rendendo più equa la catena di distribuzione degli alimenti che vede oggi sottopagati i prodotti agricoli spesso al di sotto dei costi di produzione senza alcun beneficio per i consumatori” ha affermato il presidente nel sottolineare che “per controllare e sanzionare comportamenti sleali serve individuare un organismo di controllo con competenze e mezzi adeguati, in maniera da incidere molto più concretamente ed efficacemente di quanto fatto sino ad oggi”.
In questo periodo, peraltro, è particolarmente evidente la “forbice” di divario tra quanto riconosciuto ai produttori agricoli e il prezzo allo scaffale: emblematico è il caso delle patate: ai produttori sono pagate circa 20 cent/kg, alla distribuzione al pubblico, in Valtellina, Valchiavenna e nelle province del Nord Lombardia, il prezzo lievita da un minimo di 85/90 cent (in grande distribuzione) fino a superare 1,30 euro/kg; rispetto allo scorso anno, sono pagate oltre il 22% in meno ai coltivatori.
Le verze passano da 50 centesimi al campo, fino a 1,50 “alla tavola” (se confezionate, si toccano i i 2,80 euro/kg); la catalogna, invece, è pagata al produttore circa 0,50 cent e al dettaglio raddoppia (ma fino a lievitare anche in questo caso a 2,80 euro/kg, confezionato). Ancor peggio le cipolle: la remunerazione media “al campo” è inferiore del 24% rispetto al 2019, con un prezzo medio di 0,26 euro/kg; al dettaglio il prezzo medio di partenza non è inferiore ai 0,70-0,80 euro/kg (nei casi più convenienti) ma si arriva facilmente a superare i 3 euro/kg, quando confezionate (e a seconda della tipologia). Ma non è solo l’ortofrutta a vedere rincari marcati nei passaggi dall’azienda agricola alla tavola dei consumatori: noto è il caso del latte fresco, pagato 35 cent/litro alla stalla e che va più che a raddoppiare al dettaglio: qui i consumatori lo riacquistano a anche a 1,60/1,70 euro/litro (e oltre) allo scaffale.
E’ fondamentale – continua la Coldiretti – presidiare il pieno esercizio della delega da parte del Governo ai fini dell’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali secondo l’impianto dei principi e dei criteri stabiliti dal Senato in sede di approvazione del disegno di legge di delegazione europea. In particolare appare necessario rendere l’intervento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentare (ICQRF) funzionale al rispetto del funzionamento del mercato e delle filiere per le acquisite competenze in ambito agroalimentare.
Mentre si tratta di segnalare le modalità della vendita sottocosto come parametro di controllo obbligatorio per accertare la violazione della condotta commerciale dell’operatore economico in base al semplice superamento dei costi medi di produzione elaborati dall’ Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (Ismea) per evitare forme di abuso derivante dalla posizione di forza che le imprese della trasformazione e della distribuzione mostrano rispetto alle imprese agricole.