Oggi, 10 Febbraio, si celebra il Giorno del ricordo. È una solennità civile nazionale scelta simbolicamente per ricordare la data del 10 Febbraio 1947 in cui a Parigi furono firmati i trattati di pace tra l’Italia e la Iugoslavia.
In pratica a quest’ultima venivano riconosciute l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, mentre all’Italia era riconosciuta la sovranità su Trieste e Gorizia, con la città spaccata in due dalla linea di confine con la Slovenia.
Numerosi i firmatari della prima proposta di legge per istituire il Giorno del ricordo che, dopo un lungo iter, sarebbe sfociata nel testo dell’attuale, la numero 92 del 30 Marzo 2004. Oltre ad Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato, firmarono Roberto Menia, Gianfranco Fini, Mirko Tremaglia, Giuseppe Tatarella, Maurizio Gasparri, tutti del partito di Alleanza Nazionale.
Importante l’esito finale della votazione alla Camera che vide sostanzialmente tutti i gruppi parlamentari concordi: in aula presenti 521 – votanti 517 – astenuti 4 – sì 502 – no 15. Al Senato si propose lo stesso schieramento della Camera: favorevoli tutti i Gruppi parlamentari, contrari alla legge i senatori di Rifondazione Comunista e dei Comunisti italiani.
Con la Giornata del ricordo si vuole «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale», come recita l’articolo 1 della legge.
Anche se gli storici sono divisi sulla lettura dei fatti che portarono all’uccisione di 15.000 (per altri 25.000) italiani nel periodo 1943-47, resta inoppugnabile che dal 1943 al 1957 circa 360.000 persone furono costrette a lasciare la propria terra e ad emigrare perché oppresse dal regime comunista iugoslavo.
Per anni istriani, giuliani e dalmati trovarono ostacoli e incomprensioni nel nostro Paese perché i comunisti italiani (il Pci è stato a lungo il partito più numeroso di tutto l’Occidente) non tolleravano che avessero abbandonato tutto ciò che possedevano – lavoro, casa, terra e soprattutto affetti – screditando esplicitamente “il socialismo dal volto umano” realizzato dal Maresciallo Tito.
In sostanza la vulgata orchestrata dalla cultura di sinistra per anni è stata: chi lascia la Iugoslavia non lo fa per ragioni identitarie o perché non vuole vivere sotto un regime totalitario sprezzante dei valori e delle tradizioni storiche, culturali, religiose, ma perché è un nostalgico fascista quando non un sovversivo.
Oggi, a distanza di ottant’anni da quei tragici fatti, si comincia a guardare con un po’ meno di acredine le vittime, i pochi superstiti ancora rimasti.
Quando la senatrice Segre esorta a non dimenticare gli orrori di un pezzo di storia patria compie un meritorio gesto nei confronti dei giovani perché non ripetano errori commessi dai loro nonni.
Ecco, senza paragonare eventi diversi tra loro come lo sterminio nei campi di concentramento nazifascisti e gli infoibati (le persone buttate, talune ancora vive, nelle cavità carsiche di origine naturale con ingressi a strapiombo), il valore del monito della Senatrice sta proprio nel non dimenticare, nel conoscere i fatti drammatici per evitare di riviverli.
«Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla» sosteneva, oltre due secoli fa, Edmund Burke (1727-1797), uno dei massimi politologi e filosofi anglo-irlandesi.
L’insistita esortazione della Chiesa a non dimenticare Dio non poggia sulla solida conoscenza della storia umana?
didascalia: monumento di Piero Tarticchio a Milano P.za Repubblica