Pubblichiamo articolo del dottor Gaetano Masciullo è filosofo, autore, podcaster e collaboratore del gruppo editoriale italiano Fede & Cultura, che ringraziamo per la gentile concessione e autore di “L’Ariete del modernismo” (2022) e “La Tiara e la Loggia” (2023), è impegnato anche nella divulgazione della filosofia e della teologia cattolica. Da gennaio 2024 è collaboratore di “Young Voices Europe”.
Il DMA finalmente è arrivato, e con esso la promessa di trasformare i giganti tecnologici in veri e propri dinosauri burocratici! Di cosa si tratta? A marzo 2024, l’Unione Europea ha approvato una risoluzione legislativa dal nome Digital Markets Act (DMA – “Atto sui Mercati Digitali”), con l’obiettivo di rendere i mercati del settore digitale “più equi e competitivi”, introducendo tutta una serie di normative da applicare solo alle grandi piattaforme online.
Queste ultime, infatti, hanno un forte impatto sul mercato interno di ciascuno Stato membro perché utilizzate dalla stragrande maggioranza degli utenti privati e delle imprese. Sono chiamate gatekeeper, che significa in inglese “guardiano”, un’espressione che fa evidente riferimento al monopolio de facto dei sei – per il momento – principali giganti dell’industria digitale: Alphabet (la holding di Google), Microsoft, Meta (la holding di Facebook e Instagram), Amazon, Apple e ByteDance (la holding di Tiktok, unica multinazionale cinese del gruppo). Certamente, viste le dimensioni imperiali delle aziende in questione, la possibilità di emergere da parte di realtà imprenditoriali più piccole sembra essere quasi impossibile, anche se, in realtà, molte piccole aziende emergono continuamente grazie all’introduzione di tecnologie sempre più innovative (si veda il caso di OpenAI) o alla comparsa di nuove domande sul mercato (si veda il caso di Nvidia, che sta crescendo esponenzialmente in questi ultimi tempi).
Dallo scorso 25 marzo, quindi, l’Unione Europea ha avviato una serie di indagini per appurare la conformità di Apple, Meta e Google alle nuove leggi. E naturalmente questa notizia è stata accolta con ottimismo e fiducia da parte dei più. Ma davvero queste risoluzioni sono efficaci nel limitare gli ingiusti monopoli di queste aziende, ammesso e non concesso che siano ingiusti?
C’è sicuramente, da un lato, un problema oggettivo e molto grave nell’economia moderna, quello del “gigantismo”, cioè della tendenza delle grandi aziende ad accorparsi sempre di più. Si tratta di una tendenza che ha, tra le sue conseguenze, quella di stravolgere una legge basilare del mercato: il prezzo non viene più stabilito dal consumatore, ma dal distributore dei servizi. Aziende come Amazon, infatti, che operano come distributori, cioé mediatori tra i produttori e i consumatori, possono permettersi di stabilire o comunque orientare i prezzi in virtù della propria influenza, ma anche della propria efficienza. In questo modo, i produttori devono in qualche misura adeguarsi, e pazienza se non possono permetterselo! Questa realtà è particolarmente evidente nel mondo dell’editoria.
Ciò che non si capisce (o non si vuole capire) è che queste regolamentazioni da parte delle entità statali e sovrastatali non risolvono affatto il problema dell’oligopolio. Semmai creano un nuovo, differente problema.
Infatti, bisogna considerare che questi giganti del settore digitale sono divenuti tali anche grazie a numerosi sovvenzionamenti statali. Nel 2021, per esempio, Apple ha ricevuto 891 milioni di dollari in sussidi da vari stati e località negli USA. In più occasioni, Meta e Amazon hanno potuto usufruire di incentivi fiscali, crediti d’imposta e altre forme di sostegno economico per promuovere l’investimento e la creazione di posti di lavoro. Insomma, si è assistito a ciò che comunemente viene chiamato “capitalismo collaterale”, che altro non è se non trasferimento di denaro da privati a multinazionali grazie alla mediazione del fisco. Non è dunque con la creazione di nuove leggi economiche che si risolverà il problema dell’oligopolio di questi giganti, quanto piuttosto con la rimozione dell’interventismo politico in ecomia, cosa che garantirebbe pertanto un mercato al contempo più libero e meritocratico.
Legislazioni come il DMA tendono a creare invece un altro tipo di problema, come si accennava, ossia il rallentamento tecnologico. Tanto più uno Stato (o un organismo sovrastatale, come l’UE) interviene nell’economia, tanto più i processi di crescita di un’azienda – grande o piccola che sia – vengono burocratizzati, quindi spersonalizzati e rallentati, e tanto più il progresso tecnico viene frenato. Conclusione: il DMA non porterà affatto a un “mercato digitale più equo e competitivo”, ma alla trasformazione dei giganti dell’hi-tech in dinosauri burocratici. Si sa però che i dinosauri tendono all’estinzione, e la loro morte rischia di trascinare con sé anche le realtà più piccole che, in qualche modo, vivono all’ombra dei giganti.