Trieste città dalla lunga storia che ha vissuto la violenza prima nazista e poi comunista, racchiude in sé anche valori profondi di fede cristiana.
Un simbolo che rappresenta il passaggio dalla sofferenza alla pacificazione è la cappella situata nella centrale via Cavana, conosciuta come la “cappella della riconciliazione”.
Il vescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, ha dato alle stampe con l’editore Palumbi, “La cappella Madre della riconciliazione”, un agile volumetto nel quale descrive i quadri che fanno da cornice ad un toccante dipinto della Madonna Addolorata.
Il volume è un viaggio itinerante, in compagnia del vescovo, che racconta con dovizia di particolari i quadri realizzati dal pittore russo Oleg Supereco.
L’artista, nato a Mosca nel 1974, ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Venezia da cui è uscito con la laurea in pittura. Le sue opere sono esposte in Russia e in diverse città italiane: Venezia, Roma, Catania e Trieste, dove appunto dà vita al ciclo pittorico della cappella di Cavana.
Supereco ha saputo riportare l’arte sacra nella città mitteleuropea nella piccola, ma storica chiesa intitolata ai Santi Sebastiano e Rocco. La realizzazione del progetto è stata possibile grazie ad una cordata di mecenati sotto l’attenta guida teologico-pastorale del vescovo Crepaldi.
L’opera si compone di due parti. La prima è una descrizione dei quadri che raffigurano diversi momenti della vita di Gesù e le immagini di San Giusto, San Rocco e San Sebastiano.
Al centro dell’altare maggiore è allocata l’immagine della Madonna Addolorata dinnanzi alla quale, nella notte del 30 Aprile 1945, si inginocchiò il vescovo Santin, chiedendo la grazia per la città di Trieste e pronunciando il voto di costruire un tempio mariano se, grazie alla sua intercessione, fosse stata salvata la città dagli eventi bellici.
Il vescovo Crepaldi nella descrizione dei quadri che adornano il ritratto della Madonna spiega che «tutto nella cappella porta a respirare l’aria buona della pace che idealmente purifica quella insana che la nostra città fu costretta a respirare durante la Seconda guerra mondiale».
La seconda parte del volume racconta i concitati giorni nei quali l’allora vescovo della città, Antonio Santin, si adoperò per salvare la città.
Sul finire del 1944 voci insistenti circolavano nel capoluogo triestino, il comando tedesco progettava di distruggere impianti elettrici, gas, luce, acqua se fosse arrivato il momento di ritirarsi dalla città.
Santin utilizzò ogni mezzo per evitare il disastro. Il vescovo Crepaldi riporta e descrive con accuratezza i momenti e la mediazione messa in atto dal suo Predecessore e, fatto più importante, la profonda devozione alla Madonna alla quale si rivolse con accorate preghiere.
Come riportato nella ricostruzione fatta da monsignor Crepaldi a pochi era noto che Santin «pregava ogni giorno per molte ore. Era un uomo di preghiera intensa, prolungata e profonda. Già prima delle cinque del mattino andava a pregare davanti all’Addolorata, mettendo il suo ministero e la sua persona nelle mani del Padre celeste, invocando i doni della pace, della giustizia per il suo popolo attanagliato dal conflitto».
Il libro prosegue con la descrizione di altri luoghi della città che ricordano i momenti tragici che hanno ferito Trieste. La Risiera di San Sabba che durante l’occupazione tedesca fu luogo di tortura e prigionia per oppositori politici italiani, croati ed ebrei e la foiba di Basovizza. In origine questo luogo era un pozzo minerario; nei tremendi quaranta giorni di Trieste (1° Maggio – 12 Giugno 1945), durante l’occupazione dei comunisti titini, divenne l’orribile tomba di tante persone considerate nemiche degli iugoslavi (alcune furono gettate vive nella sua profondità).
Nel 2007 su quella foiba fu eretto a sacrario come simbolo dei drammi che segnarono le vicende del confine orientale.
Il vescovo Crepaldi ricorda anche quei sacerdoti – come l’italiano don Bonifacio, il croato don Bulesic e lo sloveno Lojze Grozde – che per aver creduto e dato testimonianza della loro fede divennero vittime della ferocia titina.
“La cappella Madre della riconciliazione”, oltre che un dono di monsignor Crepaldi ai suoi fedeli triestini, è un omaggio alla saggezza di Antonio Santin che in una lettera del 1943 inviata ai sacerdoti della Diocesi raccomandava: «Non ripetiamo gli errori. Solo giustizia e libertà sono le vie che portano a Cristo».