Ognissanti è la festa cristiana con la quale si onorano sia i santi inclusi nel martirologio romano e nel calendario delle singole Chiese, sia tutte le anime accolte nella gloria del Paradiso. Si celebra, fin dal basso Medioevo, il primo giorno di Novembre, un giorno dopo la festa profana di Halloween (31 Ottobre) con la quale non ha alcunché da spartire. È stupefacente come in pochissimi anni la celebrazione religiosa di Ognissanti sia stata praticamente offuscata da una ricorrenza di origine celtica, che gli strati più laicisti della società statunitense, nel XX secolo, hanno trasformato in spiccate forme di rituali macabri (chi festeggia Halloween è invitato ad indossare abiti ispirati al satanismo) prontamente sfruttati a fini commerciali. L’Europa scristianizzata (e l’Italia è in Europa) è diventata terreno fertile per far attecchire qualsiasi seme laicista, che nel satanismo ha il suo inarrivabile campione. Per il nostro network (Vareseinluce, Resegoneonline, Comolive, Valtellinanews), che si ispira alla dottrina sociale cristiana, è la festa cristiana di Ognissanti che merita di essere celebrata. Ci siamo quindi rivolti a mons. Marco Navoni, dottore della Veneranda Biblioteca’Ambrosiana, che nel suo libro “L’anno liturgico ambrosiano. Storia e spiritualità” ha spiegato il profondo significato della ricorrenza dell’1 Novembre. Spiegazione che offriamo quindi ai nostri lettori. (a.com.)
«La preghiera cristiana di suffragio per i morti è testimoniata nella Chiesa fin dall’antichità; più recente è invece l’istituzione di una data in cui commemorare tutti i fedeli defunti. Fu infatti Sant’Odilone, abate di Cluny dal 994 al 1048, che fissò la data al 2 Novembre la commemorazione di tutti i defunti, e scelse questa data per collegare esplicitamente la nuova ricorrenza con quella del giorno precedente la festa di tutti i santi. Dal monastero di Cluny la cosiddetta festa dei morti si estese poi gradatamente all’intera chiesa latina.
Più lenta fu l’assimiliazione della data del 2 Novembre nel calendario liturgico ambrosiano. Pare infatti che si debba aspettare il 1125 per trovare, da parte dell’arcivescovo Olrico, l’istituzione di una ricorrenza analoga, ma con una connotazione ancora fortemente locale: l’arcivescovo stabilì che si celebrasse ogni anno la commemorazione di tutti i defunti della Chiesa milanese e per questo volle collegarla a una data liturgica particolarmente significativa per la vita diocesana, la festa della dedicazione della cattedrale. La nuova ricorrenza fu fissata infatti al lunedì successivo la terza domenica di Ottobre.
Probabilmente deriva di qui l’uso ancora molto diffuso della nostra Diocesi di celebrare la solenne preghiera di suffragio per i defunti della parrocchia il giorno seguente la festa patronale. Infine, nel 1852, San Carlo sostituì la ricorrenza istituita dall’arcivescovo Olrico con la data del 2 Novembre, per uniformarsi alla prassi liturgica della Chiesa romana e di tutto l’Occidente.
La commemorazione di tutti i fedeli defunti si è ormai identificata nel sentimento religioso popolare con l’intero mese di Novembre, definito “il mese dei morti” un’occasione che ritorna annualmente con il suo clima austero e che ci obbliga a compiere come cristiani, un doppio movimento spirituale: ci obbliga innanzitutto a volgerci verso il passato, ma anche a protenderci successivamente con il pensiero verso il nostro futuro.
Ognuno di noi il 2 Novembre, si volge spontaneamente verso il proprio passato: il pensiero corre, carico di commozione, ai propri morti, alle persone care, a quelle a cui si è voluto particolarmente bene e alle quali per tanti motivi siamo stati legati con vincoli di affetto e amicizia. E così tutto un passato carico di ricordi e di avvenimenti popolato di persone, di volti e di voci, che ritorna alla mente: per questo i giorni di Novembre sono giorni velati da una sottile nostalgia che per il cristiano però non si trasforma mai in tristezza o in desolato rimpianto per quello che non c’è più.
Piuttosto è la nostalgia tipica di chi ha amato e ama ancora, di chi è stato amato è quel sapore di vita e di affetti familiari che impregna il clima della festa dei morti e che la rende a tutti anche a chi forse non crede, così cara e carica di umana partecipazione.
Per noi il 2 Novembre, non può ridursi solo a una nostalgica fuga dal ricordo del passato; è invece occasione per una preghiera più intensa a suffragio dei nostri cari defunti.
Siamo infatti consapevoli che è ancora possibile una comunione spirituale, misteriosa ma reale, con chi ci ha lasciato, attraverso la preghiera e la partecipazione ai sacramenti. Visitare il camposanto e deporre i fiori sulle tombe dei nostri cari è un gesto bello, di pietà cristiana: ma ricordiamoci anche che i fiori appassiscono in fretta e servono più ai vivi che ai morti. Ciò che non appassisce mai e che veramente giova a tutti ai morti e ai vivi è una fede schietta, una preghiera assidua, sono le opere di bene compiute per la salvezza nostra e a suffragio dei nostri cari.
E poi tale ricorrenza ci obbliga quasi imperiosamente a guardare al nostro futuro, insensibilmente pensando ai nostri defunti, percepiamo con pacata lucidità che anche per noi verrà il giorno della morte e questo pensiero ci costringe così a prendere coscienza che la nostra vita terrena è nello stesso tempo preziosa e fragile.
Davanti al mistero della morte infatti la vita si raffina, le cose inutili, la vanità di questo mondo si rivelano per quello che realmente sono, i desideri, le aspirazioni e i progetti vengono vagliati e si ridimensionano, l’uomo diventa più realista e più sapiente, tutto ciò che è superfluo cade e resta solo quello che veramente conta.
Forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma la tradizione religiosa cristiana, nella sua saggezza, ha voluto che tutti i gironi noi parlassimo della nostra morte, quando nella più popolare delle preghiere, “Ave Maria” chiediamo alla Vergine santissima nostra Madre di pregare per noi “adesso e nell’ora della nostra morte” chiediamo cioè alla Madonna di aiutarci a vivere bene adesso per poter morire bene quando il Signore ci chiamerà. Il nostro mondo moderno, ricco e gaudente, ha cercato di emarginare il pensiero della morte; l’uomo con tutti i mezzi che il progresso tecnologico e scientifico gli ha offerto si crede ormai eterno; poi quando scopre amaramente che eterno non è si dispera e si lascia inghiottire dal nulla o dai paradisi artificiali brutta copia e pessimo surrogato del paradiso vero.
Noi per grazia di Dio abbiamo ricevuto il dono della fede, ed è proprio in forza di questa fede per la quale proclamiamo Cristo morto e risorto, che possiamo salvarci dalla disperazione che assale chi, davanti alla morte propria o dei propri cari non sa balbettare che parole umane, incapaci di dare significato o spiegazione al ministero di una vita che si spegne.
Noi, per grazia di Dio, crediamo che la morte non è la fine di tutto, ma è l’inizio di qualcosa di nuovo e di più bello: come ci suggeriscono i testi liturgici del 2 Novembre, è l’inizio di una nuova vita, è la nascita alla gloria perenne, se il nostro cuore, come quello di ogni uomo, è turbato al pensiero della morte e prova la pena per il distacco nostro o dei nostri cari da questa terra, tuttavia riceve dalla speranza cristiana quella pace che sola può guarire lo strazio di ogni separazione.
Riscopriamo qui la sapiente intuizione dell’inventore della festa dei morti “Sant’Odilone” collocata nel calendario liturgico in stretto collegamento con la festa dei santi.
I santi infatti ci fanno pensare al paradiso, alla gloria eterna, alla comunione con Dio; insomma alla meta finale della nostra vita eterna, che è la casa del Padre dove tutti ci ritroveremo a formare un’unica definitiva inseparabile famiglia.»