Sale a oltre 100 miliardi il falso made in Italy, penalizzata l’agricoltura varesina

Sale ad oltre 100 miliardi il valore del falso Made in Italy agroalimentare nel mondo “sottraendo risorse e opportunità di lavoro all’Italia e mettendo a rischio la tenuta e il futuro della Dop Economy messa già alla prova dalla pandemia, con riflessi preoccupanti anche sul territorio” come rimarca il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori.

E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti in occasione della presentazione del Rapporto Ismea – Qualivita 2020 sui prodotti Dop/Igp dal quale si evidenzia che il sistema italiano di qualità “Food and wine” conta su 841 specialità tutelate che sviluppano un valore alla produzione di 16,6 miliardi con un calo del 2% su base annua. 

Il cosiddetto “Italian sounding” – sottolinea la Coldiretti – riguarda tutti i continenti e colpisce in misura diversa tutti i prodotti, proprio a partire da quelli a Denominazione di origine, con il paradosso peraltro che i principali taroccatori delle specialità tricolori sono i paesi ricchi, dagli Stati Uniti di Biden alla Russia di Putin, passando per Australia e Germania.

In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano (prodotto anche con il latte munto nelle stalle della nostra provincia) con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tuti i continenti.

Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano che viene prodotto in California e venduto in tutti gli Stati Uniti.

Ma tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco – spiega Coldiretti – che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata.

Ne sono un esempio  il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.

Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato.

“Il risultato è che per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo – aggiunge Fiori – più due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. Con la lotta al falso Made in Italy a tavola si possono creare ben 300mila posti di lavoro in Italia. Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore se dagli accordi venisse un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale”.

Senza contare che, paradossalmente, a far esplodere il falso “è stata paradossalmente la “fame” di Italia all’estero con la proliferazione di imitazioni low cost ma a preoccupare  è anche la nuova stagione degli accordi commerciali bilaterali inaugurata con il Canada (Ceta)”.

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