di Lorenzo Salimbeni «La guerra è finita. Tutti a casa!»: questo è stato il pensiero che milioni di italiani hanno avuto la sera dell’8 settembre 1943 sentendo alla radio il Capo del Governo Pietro Badoglio annunciare che l’Italia aveva accettato la resa incondizionata imposta dagli Alleati.
Ebbe vita breve tuttavia l’euforia iniziale sorta spontaneamente per la fine di un conflitto che aveva dissolto un impero coloniale, portato ad un’ecatombe sul fronte russo, fatto scoprire la guerra partigiana nel settore balcanico e cominciato a colpire il territorio metropolitano con lo sbarco in Sicilia ed i pesanti bombardamenti sulle città.
La catena di comando non aveva fatto filtrare alcuna anticipazione ai vertici del Regio Esercito, le disposizioni contenute nel proclama Badoglio apparivano contraddittorie, interi reparti si dissolvevano al cospetto delle truppe tedesche che sembravano invece pronte per una simile evenienza, nuovi clamorosi sbarchi o lanci di paracadutisti da parte angloamericana non ebbero luogo, il Re fuggì e l’Italia rimase divisa in due. La Sicilia ed altre province meridionali già sotto controllo alleato ed il resto della penisola presidiato dai tedeschi che presto avrebbero liberato Benito Mussolini consentendogli di istituire la Repubblica Sociale Italiana.
Gli episodi di opposizione militare di fronte ai tedeschi non mancarono e vengono celebrati come momento iniziale della Resistenza, chi si arrese fu avviato ai campi di concentramento (Internati Militari Italiani) e nelle province del confine orientale scarsa fu la reazione di fronte all’apparizione dei partigiani comunisti jugoslavi. Una guerriglia che nei mesi scorsi si era intensificata pure a ridosso del confine faceva irruzione nel territorio nazionale.
Furono i civili a farne le spese, soprattutto coloro i quali risiedevano nell’entroterra della penisola istriana, poiché i tedeschi presero immediatamente il controllo della fascia costiera temendo sbarchi nemici. La caduta del fascismo il 25 luglio aveva già fatto sparire dalla circolazione i personaggi maggiormente compromessi col regime, quindi la prima ondata di stragi nelle foibe colpì soprattutto funzionari pubblici, forze dell’ordine, insegnanti e persone che per il loro ruolo sociale rappresentavano lo Stato italiano sul territorio. Lo Stato italiano che si era arreso, aveva rinunciato ad ogni sua prerogativa e quindi la resistenza jugoslava ebbe gioco facile nell’aggiungere alla lotta di liberazione un progetto espansionista che riguardava le province italiane in cui vi erano comunità più o meno cospicue di sloveni o di croati: Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara. Venne dichiarata unilateralmente l’annessione dell’Istria alla Slovenia ed alla Croazia che avrebbero fatto parte della nuova Jugoslavia comunista ed intanto venivano scaraventati nelle foibe non solo ex fascisti ma anche gli elementi di spicco della società civile.
Paura, angoscia, rapimenti, persone che sparivano nel nulla, processi sommari, delazioni, vendette private che si innestavano sull’esaltazione ideologica, una popolazione civile indifesa, un esercito scomparso e le forze dell’ordine sopraffatte: questo fu l’8 settembre in Istria. Quello Stato italiano tanto atteso dagli irredentisti era già scomparso, le figure istituzionali di riferimento riguardo cui si era dilatata la retorica si erano eclissate. Bene ha scritto Ernesto Galli della Loggia: 80 anni fa si consumò «la morte della Patria».