Fiume, la sera della vigilia di Natale del 1920, inizia il cannoneggiamento della città dalle navi, durerà cinque giorni causando la morte di 53 soldati, tra cui 25 Legionari e moltissimi feriti.
Sono trascorsi cento anni da quel giorno, l’associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, giovedì 17 Dicembre, alle ore 17.00 in diretta facebook alla pagina dell’associazione https://www.facebook.com/groups/2559430654128300 discuterà sul tema “Natale di sangue 1920 La fine di un’utopia”, relatrice Annamaria Crasti.
“Nella giornata del 20 dicembre 1920 iniziava l’assedio di Fiume da parte del Regio Esercito e, a conclusione, alcuni giorni dopo, l’incrociatore della Regia Marina, Andrea Doria, dal porto di Fiume, apriva il fuoco contro il Palazzo del Governo, residenza del Vate e Poeta Soldato, Gabriele d’Annunzio, che là poneva il suo quartier generale. Le cannonate aprivano una grossa falla nella facciata del palazzo, all’altezza del secondo piano, in corrispondenza della stanza in cui si trovava il Comandante, che fortunatamente rimase illeso: non così un legionario, che perì per le conseguenze di una scheggia. Questo avvenimento concludeva la battaglia fra le truppe regie al comando del Gen. Caviglia ed i legionari fiumani, battaglia che aveva causato 53 morti tra soldati e legionari e molti feriti. Lo scontro si era risolto con la resa dei combattenti dannunzani di fronte alla minaccia di cannoneggiamento estensivo della città.
Finiva così nel sangue l’occupazione militare di Fiume e della neonata Reggenza del Carnaro, impresa “in solitaria” di Gabriele d’Annunzio, compiuta in dispregio delle decisioni maturate nella conferenza di Parigi, i cui partecipanti, però, sembrava avessero in dispregio i sacrifici durissimi che l’Italia aveva dovuto affrontare negli anni della Grande Guerra. II Fiumani avevano applaudito entusiasticamente l’impresa di Fiume ed il suo comandante, che finalmente portava il nome d’Italia nella città liburnica. “Hic manebimus optime”, così si era espresso il Vate. Dopo un anno abbondante di presenza dei legionari in città gli animi si erano raffreddati, erano sopravvenute le preoccupazioni che una tale soluzione politica e militare provocava.
In quei quindici mesi trascorsi dalla partenza da Ronchi la vita a Fiume era stata intensissima e ricca di iniziative, che avevano connotato l’ “avventura” fiumana come un evento di estremo interesse in campo nazionale e internazionale.
Il contesto storico
E’ opportuno descrivere il contesto storico in cui l’iniziativa era sorta. L’Italia viveva in quei momenti la crisi dell’ideologia liberale, la classe politica non era più in grado di rispondere alle esigenze della popolazione, che reclamava di partecipare alle decisioni del paese. Erano sorti il Partito Popolare di Don Sturzo e lentamente si affaccciava all’orizzonte politico il movimento dei Sansepolcrini, che avrebbe avuto un seguito nel Fascismo.
Il Partito Socialista si dibatteva nella scelta fra massimalisti e revisionisti.
Il governo, guidato da Nitti, era indeciso, la classe politica viveva in quei momenti la pesante ipoteca posta dal partito socialista, che aveva deciso di non parteipare alla vita politica italiana, perchè convinto dell’imminenza della rivoluzione proletaria. Permaneva ancora la polemica fra coloro che avevano propugnato l’interventismo ed i pacifisti. Anzi, dall’interventismo iniziale, inteso in senso difensivo, si stava sviluppando un interventismo nazionalista, che reclamava compensazioni non solo nell’Adriatico, ma anche in Anatolia, Libia, Yemen. I reduci dalla guerra appena conclusa reclamavano, dopo aver spesso perso affetti e proprietà, un coinvolgimento politico, quasi a risarcimento della loro attività militari al fronte.
L’Impresa di Fiume
Quello era dunque per l’Italia un periodo di grande irrequietezza, di insoddisfazione per le condizioni di vita nell’immediato dopoguerra, di immensi, mal ricompensati sacrifici delle classi più povere, di attesa di una maggiore democrazia, di crisi nel parttito liberale che aveva perso l’appoggio della popolazione: incombeva lo spettro del bolscevismo che si stava sviluppando in Russia.
Quando d’Annunzio decise di intervenire per risolvere con la forza la questione fiumana, era un personaggio noto internazionalmente per la sua opera letteraria e in Italia molto ammirato per il coraggio ed il valore dimostrato come volontario (aveva allora 52 anni) nella Grande Guerra. Pluridecorato e mutilato (aveva perso l’uso di un occhio) era stato particolarmente ammirato per il suo volo su Vienna, in seguito al quale il giornale “Arbeiter Zeitung” aveva affermato che anche in Austria ci sarebbe voluto un poeta, che oltre a comporre poesie (e ce ne erano tanti anche in Austria), fosse un valente aviatore. A Venezia, a guerra conclusa, i delegati fiumani del Consiglio Nazionale avevano fatto presente ai convenuti la loro decisione che Fiume diventasse italiana (si dice che nell’accordo di Londra Vittorio Emanuele Orlando si fosse dimenticato di inserire la questione di Fiume fra i punti da discutere). Il 19 aprile 1919 il Consiglio Nazionale fiumano reiterava a d’Annunzio la richiesta di annessione: nella lettera ai Dalmati il poeta aveva appoggiato la richiesta fatta dalla Dalmazia di diventare italiana. Era chiaro quale sarebbe stata la sua decisione. Quando i granatieri di Sardegna, che presidiavano Fiume, furono sostituiti dalle truppe internazionali di occupazione, il malcontento dei reduci raggiunse il suo apice ed i granatieri si acquartierarono nei pressi di Ronchi, decisi a ritornare a Fiume perche, finalmente, la città appartenesse all’Italia.
Tali condizioni indussero il Vate ad agire.
D’Annunzio fece presente ai granatieri reduci la sua decisione ed essi gli offrirono il comando della spedizione. Era l’11 Settembre 1919. All’autoparco di Palmanova, con uno stratagemma, si impadronirono dei camion necessari per il trasporto delle milizie e, di passaggio a Ronchi, anziché essere fermati dalle truppe regolari, come aveva ordinato Nitti, trovarono dei militari entusiasti che si unirono ai legionari in partenza. Partiti all’alba del 12 settembre 1919 da Ronchi, arrivati al confine, il Gen. Pittaluga intimò a d’Annunzio di fermarsi, il Poeta, invece, mostrò le sue decorazioni guadagnate nella Grande Guerra e, rifiutando di obbedire, comunicò al generale che per fermarlo doveva sparargli al petto. Pittaluga lo lasciò passare, trasferendogli il comando militare della piazza di Fiume.
L’arrivo a Fiume, verso mezzogiorno, fu contrassegnato dall’entusiasmo dei fiumani, che in corteo accompagnarono i legionari al Palazzo del Governo, dove d’Annunzio, con i poteri ricevuti dal Gen. Pittaluga, fece ammainare il vessillo del contingente interalleato ed issare il tricolore italiano. Il 20 settembre 1919 il Consiglio Nazionale Italiano rimise i poteri nelle mani di d’Annunzio, che li restituì prontamente al Consiglio, confermando anche il Direttorio in vigore con l’unica clausola, che gli atti concernenti l’ordine pubblico o aventi implicazioni politiche fossero sottoposti alla sua approvazione, prima di entrare in vigore.
Intanto il corpo di spedizione si era rinforzato con soldati e volontari che con progressione arrivavano a Fiume tanto da costituire un vero e proprio esercito locale (25.000 uomini), e con uno Stato Maggiore costituito da generali fuorusciti dal Regio Esercito.
Anche se accolto dall’entusiasmo generale, da un punto di vista istituzionale il nuovo governo doveva essere riconfermato dal popolo. Su questo punto Riccardo Zanella, personaggio che a Fiume godeva di grande seguito, aveva conferito con d’Annunzio, già il giorno successivo al suo arrivo a Fiume: in precedenza era stata promulgata una nuova legge elettorale, ragione per cui si dovevano indire nuove elezioni. Già allora si voleva estendere il voto alle donne. Il colloquio del Comandante con Zanella, all’inizio pacato, divenne in seguito concitato e infine burrascoso, le posizioni di entrambi erano inconciliabili e tali da indurre Zanella ad abbandonare la città di San Vito per “un secondo triste esilio”.
Le elezioni si svolsero il 26 ottobre e confermarono la volontà annessionistica della popolazione con la riconferma di Grossich a presidente del Consiglio Nazionale: Zanella aveva espresso il suo dissenso, invitando i cittadini ad astenersi. Molti aderirono all’invito perchè il numero degli astenuti fu notevole.
Furono così riconfermati, sia il Consiglio Nazionale, che il Comitato Direttivo.
Il 14 Novembre 1919 d’Annunzio si incontrò con l’Amm. Millo, a capo delle forze italiane di occupazione della Dalmazia: ambedue espressero la volontà di non rinunciare a Fiume ed alle promesse del Patto di Londra, indipendentemente dalle decisioni espresse dalla Conferenza di Pace di Parigi e dagli orientamenti dubbiosi del governo italiano, impersonati da Nitti cui il Comandante, deridendolo, aveva dato il nomignolo di “cagoia”.
Nitti non si diede pace, inviò per ben tre volte degli emissari per convincere il poeta a desistere; la terza inviò il Generale Badoglio, con una proposta conosciuta come Modus Vivendi, che essenzialmente auspicava per Fiume un ritorno alla madrepatria, da realizzare in un secondo momento con la situazione internazionale mutata. Ma nello stesso tempo prevedeva di rimettere il comando della città alle forze regolari italiane. La proposta fu respinta da d’Annunzio. Ma la cittadinanza, nella sua maggioranza, non era d’accordo con il rifiuto: era infatti fiaccata per le avverse condizioni economiche e per l’embargo alimentare, che era stato imposto, peraltro, senza grande successo, dal governo regio. Inoltre Zanella aveva esercitato un influsso notevole sull’orientamento della popolazione in favore dell’accettazione della proposta.
Da allora la politica espressa dal Comandante si radicalizzò. Non solo con l’impresa degli “Uscocchi” (durante le trattative con Badoglio i legionari si erano impadroniti del cacciatorpediniere “Bertani”): ma con la scelta di sostituire il nazionalista Giuriati con il sindacalista rivoluzionario e repubblicano Alceste De Ambris a capo del suo gabinetto. De Ambris era portatore di avanzate riforme sociali, che espresse nel progetto di una carta costituzionale, che doveva essere alla base del nuovo governo a Fiume, la Reggenza del Carnaro. L’ambizione del Comandante era di creare un modello di stato nuovo, da esportare anche al di fuori del Carnaro e proporlo a tutti i popoli oppressi dell’Europa. Queste idee e questi programmi si vennero delineando nel corso del 1920, incontrando il favore dei cittadini, ma anche a volte destando inquietudini nei moderati del Consiglio Nazionale ed in alcuni strati dell’esercito. Ci furono defezioni fra i militari (200 carabinieri ed un reparto della brigata Firenze, che abbandonarono l’impresa fiumana ed ebbero uno scontro a fuoco con gli arditi). Fiume era un pullulare di idee nuove, rivoluzionarie: i futuristi, nella persona di Marinetti, che però aveva fatto solo una breve visita e s’era allontanato, Mario Carli, futurista, fondatore della rivista dei legionari fiumani “Testa di Ferro”e personaggio intransigente, Guido Keller, molto stravagante. Fiume divenne una città di nuove esperienze, ma anche di eccessi, che disincantarono gli animi più moderati.
Vi furono manifestazioni sindacali, violentemente tacitate dal Comandante. Intanto Zanella stava fomentando una campagna antidannunziana, rivolgendosi a Nitti per indurlo ad imporre il Modus vivendi. Il 24 maggio non venne celebrata l’entrata in guerra dell’Italia, fiumani e dalmati organizzarono a Roma una manifestazione di protesta, che venne sedata nel sangue (con 8 morti) dalle guardie regie. Fra gli arrestati, vi fu anche Grossich che aveva partecipato a Roma come delegato del Consiglio Nazionale. In Giugno Nitti dovette dare le dimissioni, sostituito da Giolitti.
La Carta del Carnaro
L’8 Settembre 1920 entrava in vigore la nuova costituzione, “resa poesia” da d’Annunzio nella sua forma letteraria, ma concepita nella sua essenza dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. De Ambris era stato un ardente interventista, non spinto da aspirazioni nazionalistiche, ma dal desiderio di eliminare l’autoritarismo degli imperi centrali e fondare un ordine europeo in cui i singoli stati fossero indipendenti e liberi . De Ambris si mise al lavoro da subito, il suo testo fu adattato da d’Annunzio per renderlo consono alle consuetudini espressive e linguistiche del Vate: De Ambris permise che il Comandante lo facesse suo e lo proponesse alla cittadinanza in agosto 1920, leggendolo al teatro La Fenice. La Carta del Carnaro era antesignana di molte carte costituzionali che videro la luce in seguito.
La Reggenza Italiana del Carnaro
Di fronte alla nuova situazione creatasi con la presidenza Giolitti, d’Annunzio decise di “giocare d’anticipo”, proclamando in agosto la Reggenza del Carnaro: Reggenza, perchè doveva costituire una soluzione transitoria in vista della successiva annessione al Regno d’Italia. Essa si basava sulla nuova Costituzione, la Carta del Carnaro, che nel settembre 1920 era stata approvata dagli elettori e messa in pratica con il nuovo governo. Nel frattempo, a Fiume, era nata un’opposizione nazionalistica, che si era organizzata attorno al secondo fascio cittadino, movimento che aveva sostituito il primo fondato da Mario Carli, caratterizzato da idee nazionalistiche più accentuate. Ad esso avevano aderito personaggi quali Prodam e Horst Venturi, presidente fu Edoardo Susmel.
Il governo di Giolitti, con Sforza alla Consulta, cercò allora di trovare una soluzione alla questione di Fiume, che costituiva un problema aperto in ambito internazionale. Ci fu un avvicinamento alla Francia, proposto da Sforza, che intratteneva ottimi rapporti con l’ambasciatore francese a Roma Barrère. Ciò permise di concludere un accordo con il regno SHS, che prevedeva per Fiume un’autonomia, un corridoio per stabilire la continuità territoriale con l’Italia e la cessione di Porto Barros al regno SHS. L’accordo fu firmato a Rapallo il 12 novembre 1920 e successivamente ratificato, entro dicembre, dal Parlamento italiano, nonché da parte jugoslava. Il Gen. Caviglia ingiunse allora a d’Annunzio di ritirarsi da alcune isole quarnerine, che nel frattempo aveva occupato, e da Fiume coi suoi legionari. Fu necessario l’intervento armato del Natale di Sangue per sloggiare il Comandante, che però rimase temporaneamente a Fiume e il I.gennaio partecipò al solenne funerale dei suoi Legionari e dei soldati italiani, accomunati in un unico abbraccio. Fu quello l’ultimo saluto a Fiume, che il Poeta lasciò il 18 gennaio e che non rivide più, vivendo in un volontario silenzio di dissenso dalla politica, nella sua villa del Vittoriale.
Conclusioni
Utopia o lascito ideale. Molti considerano l’impresa di Fiume un’utopia. Secondo me, parlare solo di utopia, è decisamente riduttivo. L’impresa di Fiume è un esempio di nazionalismo ragionato, non esasperato, che d’Annunzio ha saputo mantenere entro i limiti di un condivisibile senso di nazione. La Carta del Carnaro, inoltre, costituisce un esempio di modello di governo precursore dei tempi, soprattutto per quanto riguarda la sovranità del cittadino, la limitazione del diritto di proprietà e l’importanza del lavoro come fondamento della convivenza civile. Dell’Impresa di Fiume molti parlano come di un’utopia, di un’illusione di cui, però, si sono nutrite migliaia e migliaia di persone che a quell’utopia hanno creduto. Ultimamente le considerazioni degli storici hanno messo in luce le novità espresse, in ambito costituzionalistico, dalla Carta del Carnaro. Il Prof.Davide Rossi, professore di “Storia e Tecnica delle Costituzioni Europee”, nota come quella del Carnaro, negli anni immediatamente successivi alla conclusione della Grande Guerra sia una delle 30 carte costituzionali che videro la luce in un periodo di circa tre anni. Con quella austriaca e, quella più famosa di Weimar, è una delle più evolute. Tutte erano nate dalla crisi dello stato liberale che non soddisfaceva più le esigenze e le aspettative delle nuove classi popolari. Concedeva il suffragio universale maschile e femminile. Introduceva le corporazioni come associazioni cui tutti i lavoratori erano iscritti a seconda della loro professione, ricordo, questo, di un antico istituto medievale dell’Italia dei comuni. Utopia rimasta lettera morta per molto tempo ma, con lo scorrere del tempo, realizzata. La Carta del Carnaro nata dal pensiero di De Ambris sindacalista rivoluzionario, repubblicano è una carta costituzionale assolutamente non fascista. In un suo breve intervento, lo storico Emilio Gentile si sofferma sulla figura di De Ambris, evidenziando il sindacalista rivoluzionario, repubblicano, che a impresa fiumana conclusa, continuò la sua attività con idee e progetti contrari al nascente fascismo. Per cui ritenere la Carta del Carnaro, che reca la sua primaria impronta, una carta costituzionale fascista è inesatto e non vero. Se l’Italia, in quegli anni, imboccava la strada del fascismo, ciò non era da ascriversi né a d’Annunzio, né a Alceste De Ambris.
D’Annunzio e Mussolini
Esaminiamo ora le motivazioni del mancato appoggio di Mussolini. Ci riportiamo ai giorni del concepimento dell’impresa di Fiume (primavera-estate 1919). Quando d’Annunzio decise di muoversi, Mussolini era un personaggio ancora poco conosciuto. Il Poeta Condottiero era invece una personalità all’apice della sua carriera, famoso sia come scrittore e poeta, che come combattente: era quindi Mussolini ad aver bisogno di muoversi per mettersi in luce come politico, ed a tale scopo aveva abbracciato la causa dell’Impresa di Fiume. Aveva seguito il Condottiero nella sua profonda antipatia e disistima nei confronti di Nitti, con articoli denigratori sul suo giornale, (Il Popolo d’italia). D’Annunzio chiedeva una presa di coscienza da parte di tutta gli italiani, auspicandone la sollevazione, ma l’impresa di Fiume godeva di poca popolarità in Italia, essendo appoggiata solo dagli ex reduci e dai nazionalisti, ancora numericamente esigui. Mussolini invece non si muoveva, aspettando il risultato delle elezioni del 1919. indette per il 16 novembre di quell’anno, per le quali si presentò col precedente programma sociale, fortemente criticato da Michele Bianchi, il futuro quadrumviro della marcia su Roma, che proponeva una linea moderata. Il risultato delle elezioni aveva rappresentato una sconfitta per Mussolini; anche la sinistra interventista ne era uscita fortemente indebolita. Da allora in poi i rapporti fra Mussolini ed il Vate si erano incrinati, anche se ufficialmente il Duce mantenne un appoggio formale all’Impresa di Fiume, che, però, stava languendo.
Commenta il Prof. Giuseppe Parlato , interpretando il pensiero del Poeta.
“(…) si andava poco a poco sul modus vivendi, e cioè in una situazione di stallo nella quale il governo non aveva la forza di cacciare il “disertore” D’Annunzio e i suoi, ma i legionari e il Comandante restavano nella città senza prospettive”. Il Febbraio 1920 il fascismo aveva virato a destra, cambiando totalmente la sua base elettorale, con un programma che sarebbe stato sancito nel successivo secondo congresso dei fasci (Firenze maggio 1920). Nelle successsive elezioni amministrative dell’autunno 1920, Mussolini non si era presentò con una lista propria, ma appoggiando i blocchi nazionali. Questa mossa fu premiata dal fatto che i socialisti, in cui predominava l’ala massimalista, non ottennero la maggioranza. Dalle elezioni Giolitti riuscì vittorioso e, con il ministro Sforza, in novembre concludeva il trattato di Rapallo, giudicato negativamente dai nazionalisti e da d’Annunzio, positivamente con il suo solito realismo da Mussolini. Con la decisione di Mussolini, di aderire ai Blocchi Nazionali, il suo partito fu istituzionalizzato.
Cosa si intende per “Autonomia”
Il diritto di Fiume all’autonomia, sancita nel 1530 da Ferdinando, fratello e successore di Carlo V, è un diritto a cui i fiumani si sono appellati in vari momenti della loro storia. Giovanni Stelli, nel suo “La Storia di Fiume”, dedica al concetto di autonomia un’attenzione particolare. Essa nasce da una Patente Sovrana del predetto monarca, che riconosce ai fiumani l’esigenza di disciplinare gli statuti vari preesistenti e non coordinati fra di loro. L’insieme delle norme permetteva una vita regolata dei cittadini. Lo statuto rimase in vigore, con poche modifiche o aggiunte, fino a tutto l”Ottocento. I fiumani in molte occasioni si sono appellati allo Statuto per manifestare la loro italianità e il diritto sancito da lungo tempo all’uso della lingua italiana.
Riferimenti bibliografici
Giovanni Stelli Storia di Fiume
Davide Rossi d’Annunzio, la Carta del Carnaro e la crisi dello Stato liberale, tra
rappresentanza e antiparlamentarismo Giornale di Storia Costituzionale
Nr. 38
Emilio Gentile …La Carta del Carnaro raccontata da Emilio Gentile WIKI Radio
Giuseppe Parlato Da San Sepolcro a Fiume Annali Fondazione Ugo Spirito 2019-2
(crediti Museo storico di Fiume)