La recente conferenza tenuta per ANVGD di Milano dal giornalista Valentino Quintana, ha avuto il merito di riscoprire una figura apparentemente dimenticata: la fiumana Gemma Harasim, educatrice e pedagoga, moglie di Lombardo – Radice, profonda innovatrice del metodo educativo.
di Valentino Quintana Gemma Harasim era nata nella Fiume austroungarica nel 1876, e sin da bambina, aveva manifestato precoci doti intellettive e talento negli studi, tanto da poter ben presto divenire una studentessa magistrale modello, a Gorizia.
Attentissima all’insegnamento linguistico, l’Harasim, che si trovava in una città sicuramente plurilinguistica e pluridentitaria, propose da subito un metodo innovativo per l’apprendimento della lingua madre. Insegnante nelle scuole primarie fiumane, successivamente vinse una borsa di studio, messa a disposizione dal Comune di Fiume, per frequentare i corsi dell’Università di Firenze, all’epoca tempio della cultura italiana, entrando in contatto con la più viva intelligenza dell’epoca: dagli idealisti della Voce di Giuseppe
Prezzolini agli amici fiumani Burich ed Oberdorfer, passando per l’estetica crociana. Il suo rapporto con la rivista La Voce, si instaurò con l’invio delle cosiddette “Lettere da Fiume”, un resoconto, con stile internazionalista e con taglio socialista, di quella che era la situazione linguistica e lavorativa nel capoluogo del Carnaro, andando contro a quella che era la narrativa dominante del gruppo fiorentino: ella non vedeva infatti di buon occhio le rivendicazioni nazionali ed irredentiste, bensì pensava alla lingua quale mezzo per risolvere e mediare i possibili conflitti tra italiani e croati, gli elementi che lei definiva autoctoni del luogo, e non gli ungheresi ed il loro idioma, visto solamente in chiave burocratica e amministrativa.
Gemma Harasim, fece ritorno così a Fiume con un bagaglio di conoscenze ed esperienze non comuni per una donna dell’epoca. La sua opera Lingua Materna e intuizione, pubblicata per l’Editore Francesco Battiato di Catania, venne recensita positivamente e con entusiasmo da Benedetto Croce, il quale, la mise in contatto con il catanese Giuseppe Lombardo – Radice, tra i primi grandi pedagogisti italiani. L’incontro tra i due, si trasformò inizialmente in una collaborazione intensa alla rivista Nuovi Doveri da parte della Harasim, per approdare ad un ottimo rapporto epistolare. E tale non poteva rimanere, sentendo il bisogno, per entrambi, di conoscersi presto, e di convolare a giuste nozze, a Fiume nel settembre del 1910.
Il clima culturale nel quale si muoveva la Harasim aveva delle peculiarità uniche ed irripetibili. La pedagogia, come scienza era in pieno sviluppo, e ricordiamo che il contributo che la studiosa forniva alla disciplina, tra le prime in Italia, si aggiungeva a quello di un gruppo formidabile di studiosi, per lo più liberali: Vito Fazio – Allmayer, Guido de Ruggiero, Benedetto Croce, Giovanni Gentile ed in particolar modo, Giuseppe Lombardo – Radice.
La coppia Harasim – Lombardo-Radice ebbe la possibilità di seguire da vicino l’impresa fiumana, e di tornare a Roma per un incarico governativo, assegnato al marito, per affiancare il neoministro Giovanni Gentile al Ministero dell’Educazione Nazionale. Il fiero antifascismo della coppia, non tarderà a manifestarsi, sia da un punto di vista ideologico, che pratico. La famiglia, presto ingrandita e composta da tre bellissimi figli (Laura, Lucio e Giuseppina), subì le persecuzioni del Regime, ed in particolar modo, il figlio Lucio, venne arrestato due volte per propaganda sovversiva). Non per questo, l’Harasim abbandonò gli studi psicologici, pedagogici ed educativi, partecipando alle celebrazioni del centenario della morte del Pestalozzi, e fornendo ogni possibile spunto per quello che ella riteneva uno dei compiti fondamentali: l’educazione infantile. Furono comunque anni molto difficili per la famiglia, a causa dell’isolamento e delle persecuzioni a cui il regime sottopose Lombardo Radice. Dopo la sua morte avvenuta nel 1938, Gemma Harasim divenne custode tenace dei suoi ricordi e della sua memoria. Sempre vicina ai figli che avevano intrapreso la strada dell’opposizione comunista, aprì la casa ai giovani (fra i quali troviamo Pietro Ingrao, futuro marito della figlia Laura). Questo gruppo, nel 1943, diede vita ai primi nuclei della resistenza romana, e la Harasim, collaborò attivamente ad esso, nascondendo nel proprio seno, i fogli del giornale clandestino «Pugno chiuso» durante una perquisizione della polizia. Ella mantenne una mente lucida e un forte interesse per il mondo dell’educazione fino alla morte, avvenuta nel 1961.
La sua opera, verte in particolar modo sul concetto dell’intuizione: essa «è tutto, non è più la nomenclatura arida e pappagallesca, non la lezione di cose unilaterale e pesante, non l’esercizio di lingua parolaio e convenzionale: ma è pure tutto ciò assieme fuso da un’armonia di intendimenti, indirizzato e svolto così da formare, meglio che in una combinazione chimica, un prodotto nuovo, che pur avendo in sé tutti gli altri elementi presenti un carattere suo proprio, nuovo e distinto dai componenti che lo formano».
E ancora: «la vera lettura, che non è meccanismo da spezzarsi nei suoi minuti congegni, ma arte da conservare intatta e compatta nei suoi elementi di vita. Non basta a insegnare ad intendere, in astratto, le parole di un libro, bisogna insegnare a sentire una lettura, bisogna con mano delicata abituare le corde tutte del sentimento e del pensiero giovanile a vibrare in armonioso unissono con la musica dolce e gagliarda della poesia e dell’idea. Questa lettura ha un metodo diverso; questa non si spezza, non si analizza a bambini e giovinetti, questa bisogna saperla piantare direttamente nel cuore, quando è giusto il momento in cui il coltivatore saggio e prudente sa che potrà attecchire rigogliosa e con tutte le radici diffondersi in tutte le vene e farle pulsare rapide».
Infine: «Iperboli, antonomasie o quant’altre mai, non esistevano per il poeta vero nel momento che gli sgorgavan dal cuore, no! Eran gridi di passioni, impeti d’ira, sospiri, lagrime e sorrisi: veri, sentiti, sinceri; non “traslati” e figure retoriche (…). Trasportare lo scolaro nel tempo e nei luoghi in cui uno squarcio di poesia fu dettato, avvicinarlo all’anima dello scrittore, preparare il materiale linguistico necessario a comprenderlo: ecco il nostro compito; il resto deve elaborarsi da sé spontaneamente nel pensiero senza il nostro intervento, elaborarsi originalmente non come copia di nostre impressioni».
Altra attenzione fu dedicata al disegno infantile, ove l’Harasim, ci insegnò che l’adulto può aiutare il bambino nella conoscenza delle proporzioni e della prospettiva. Al contempo, l’adulto non deve sostituirsi al bambino, nel presentare e completare in tutte le sue parti il disegno. Come si può comprendere, qualunque fosse l’argomento che la pedagogista affrontava, ella andava sempre al di là di esso, in un ordine multifattoriale e multidisciplinare: ogni cosa appresa poteva e doveva essere trasferibile ad altri campi del sapere.
Osservatrice equilibrata, interprete dei fatti ed innovatrice, fiera avversaria della retorica, del formalismo e del convenzionalismo (fautrice della opposta “spontaneità dell’anima), Gemma Harasim fu donna di raro intelletto e di cuore. Una figura dell’Italia civile da riscoprire, affinché l’insegnamento, l’educazione, il lato pedagogico possano creare e plasmare sempre una classe dirigente pronta ad affrontare il futuro, anche con innovazione ed intuizione.