Non solo Trieste. Il dramma dell’occupazione slava di tutta la Venezia Giulia

Non solo Trieste, il dramma dell’occupazione slava di tutta la venezia giulia è il tema affrontato dalla relatrice Annamaria Crasti giovedì 19 Novembre in diretta facebook alla pagina dell’Anvgd (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), 

Qui di seguito i punti toccati nel corso dell’ incontro. 

di Annamaria Crasti  «24 Settembre 1945 – Intanto ci giunge dall’Istria il grido angoscioso di tutti gli istriani oppressi e di giorno in giorno le file dei profughi si ingrossano.

Antecedenti
E’ noto, che dopo l’Armistizio dell’8 settembre la Venezia Giulia è stata occupata nel giro di poco più di una settimana dalle truppe tedesche, che dichiararono il territorio “Zona di operazioni del Litorale Adriatico”, includendo Trieste, Gorizia, Udine, l’Istria, Fiume e la provincia di Lubliana. L’occupazione durò fino alla sconfitta ed alla resa del Reich tedesco, che avvenne agli inizi del mese di Maggio 1945

25 Dicembre 1945 – Già nel Settembre 1943 infatti si manifestò chiara la politica di odio anti-italiano mirante alla completa snazionalizzazione dell’Istria. Tale politica ispirò una condotta che rivelò tutta la perfidia e la spietatezza balcanica

Trieste insorse scacciando i tedeschi grazie all’iniziativa del CLN triestino, che agiva congiuntamente al MPL Movimento Popolare di Liberazione sloveno. La collaborazione durò fino al sopraggiungere dell’armata jugoslava. Parallelamente, le milizie del IX corpus sloveno impegnavano i tedeschi nella Slovenia, e poi giungevano a Trieste, ricongiungendosi con la IV armata dell’esercito regolare jugoslavo, proveniente dai dintorni di Fiume. Iniziava così il periodo dei Quaranta Giorni di Trieste, caratterizzato da un’occupazione feroce, oppressiva, che si concludeva il 12 giugno 1945, in cui l’amministrazione della città passava alle forze alleate, inglesi e americane. Queste, a conclusione dell’accordo di Parigi (il famoso “Diktat”), siglato il 10 febbraio 1947, diedero vita al Territorio Libero di Trieste, che includeva Trieste, Pola ed una parte del litorale istriano.

25 Novembre 1945 – In tutti i modi si è cercato di incontrarsi con gli slavi nel campo dell’amicizia e dell’aperta collaboraborazione. Si è cercato persino di dimenticare i morti di Trieste del mese di maggio, i continui assassinii dei campi di concentramento balcanici, delle imboscate quotidiane.

L’Istria – In un approfondito saggio del CRS (Centro di Ricerche Storiche di Rovigno), Orietta Moscarda Oblak esamina i diversi aspetti della presa del potere in Istria da parte degli jugoslavi. Nei primi giorni del Maggio 1945, accanto ad un “innocente” subentro di impiegati slavi nell’amministrazione ai diversi livelli.

9 Ottobre 1945 – La burocrazia- impiegati e funzionari di alto e di basso rango, trapiantati da lontane provincie senza conoscere problemi ed esigenze locali, hanno rivelato troppo spesso una incompetenza, corruttibilità e leggerezza. Da ciò motivi di malcontento. vi fu l’intervento della famigerata OZNA (acronimo croato di Sezione per la Difesa del Popolo), in realtà un servizio di informazioni dell’esercito, dotato successivamente di un braccio armato.

19 Ottobre 1945 – Soli, abbandonati da tutti, in balìa di se stessi, non sorretti che dalla propria coscienza, contorniati da sgherri sempre in agguato, con ancora negli occhi gli orrori delle foibe, dinanzi ai mitra degli incoscienti, ed alle lusinghe balcaniche di fallaci paradisi terrestri, soli, con la loro miseria, soli e senza speranza, hanno risposto semplicemente, disperatamente: “ No! No! Non possiamo, non vogliamo aderire alla Federativa Progressista Democratica Jugoslavia! ED ORA FATE DI NOI QUELLO CHE VOLETE! “

Il suo scopo era eliminare nei territori conquistati ogni possibile resistenza, ed in questo compito fu modellata secondo la struttura ed i metodi della NKVD (Polizia segreta Sovietica), con istruttori sovietici. Inizialmente istruttori sovietici istruirono sul campo i loro discepoli slavi, partecipando in prima persona all’epurazione avvenuta in Voivodina.
I risultati di questo impegno, secondo la ricercatrice:  la resa dei conti, in Slovenia e in Croazia, come pure in tutti gli altri territori jugoslavi, contro i domobrani, gli ustaša e i četnici, fu caratterizzata da feroci violenze. Anche quelli che riuscirono a consegnarsi agli alleati, furono quasi sempre riconsegnati ai comandi jugoslavi. Ci furono arresti e deportazioni in massa nei campi di concentramento. Corpi di soldati tedeschi, di fascisti, di collaborazionisti processati dai “tribunali del popolo” e anche di molti civili furono gettati nelle cave carsiche e nei pozzi minerari. Inoltre, si ebbero uccisioni, fucilazioni e liquidazioni sommarie di prigionieri, violenze verso chi venne incolpato (senza processo) di essere collaborazionista, verso chi non si allineava con il potere jugoslavo. In questo modo a cadere furono anche molti antifascisti non comunisti, tutti etichettati di collaborazionismo, ma in realtà colpiti perché considerati potenziali oppositori politici. Tristemente noti rimangono, soprattutto nella memoria dei croati e degli sloveni, i massacri di Bleiburg, elevato a simbolo della tragedia dei croati, e di Kočevje – dove a venir eliminati furono i domobrani sloveni – nonché di un’infinità di fosse comuni scoperte in anni recenti nei territori sloveno e croato. In queste ondate di violenze, perse la vita un numero imprecisato di persone. Il loro numero sul territorio croato varia a seconda delle fonti, oscillando da un minimo di 50.000 ad un massimo di 250-300.000 vittime.

Limitandosi alla sola Croazia

In base alle sentenze, nel periodo che va da luglio ad Agosto 1945, in Croazia i tribunali militari condannarono circa 5200 persone, e di queste più di 1500 furono le condanne a morte. Quanto ai domobrani sloveni, la cifra varia dalle 12.000 alle 20-30.000 vittime

Queste sono le cifre fornite dalla ricercatrice nel suo saggio. E’ da tenere presente che,dalla data della ricerca ad oggi, è trascorso più di un quinquennio, e specialmente negli ultimi anni sono state avviate ricerche sull’esistenza in Slovenia di fosse comuni, per cui i dati forniti, specialmente per quella regione, sono largamente sottostimati.
Questo il quadro generale. Addentrandosi nelle singole vicende e nella tempistica, ecco quanto risulta:

I mesi più critici nei territori dell’Alto Adriatico – l’Istria, Fiume e il Litorale (oggi) sloveno – furono Maggio e Giugno del 1945, quando furono eseguiti numerosi abusi e crimini, arresti e deportazioni, confische e uccisioni da parte degli appartenenti all’Ozna e di quegli organismi del nuovo potere (l’apparato amministrativo dei Comitati popolari di liberazione, la milizia popolare) che avevano il compito di sottostare ai loro ordini

Ma che cos’era l’OZNA quando ha iniziato la sua attività?
L’attività dell’OZNA si era sviluppata anche prima della fine della guerra, nei riguardi dei religiosi e di coloro che venivano considerati “Italiani”
Nei confronti del clero e in particolare di singoli sacerdoti che non collaboravano con il MPL, il Comitato circondariale del PCC di Pola, a febbraio1945, aveva dato la seguente direttiva alle proprie organizzazioni inferiori:“Ora noi siamo forti, la questione perciò va risolta militarmente. Non accarezziamo più, ma bensì attacchiamo!”. In sostanza, la politica della carota andava sostituita con quella del bastone. Il metodo da seguire doveva essere quello di avviare un vero e proprio linciaggio morale e politico, con una dura campagna calunniosa, denigratoria e diffamatoria nei confronti di ogni singolo sacerdote che fosse stato contrario al MPL, ma non dell’istituzione ecclesiastica nel suo complesso.

Già nel 1943, dopo l’Armistizio, Don Angelo Tarticchio era stato barbaramente ucciso. L’11 Settembre 1945 “ in odium fidei “ era stato trucidato il Beato Don Francesco Bonifacio. Infatti, criticare la chiesa cattolica “in toto” poteva dimostrarsi controproducente, in un paese che era profondamente cattolico. Preso il potere, il regime titino si era accanito anche contro il clero slavo, prima schierato con i partigiani. Ne è esempio il Beato Don Miroslav Bulešić, croato d’Istria, anch’egli eliminato “ in odium fidei” in occasione di una Cresima.

La lotta politica che l’Ozna sviluppò ben prima della fine della guerra fu una lotta condotta con sistemi diversi da quelli usati contro l’occupatore e i suoi collaboratori, perché si trattava di ostacolare e reprimere il clero, assieme alle forze antifasciste italiane che, anche se deboli, contrastavano le rivendicazioni nazionali jugoslave, e finivano quindi per venir considerate alla stregua dei fascisti, tutti accomunati nella categoria di “forze reazionarie”. Nella zona di Fiume i “nemici” principali furono individuati negli autonomisti, (di Riccardo Zanella, che si battevano per l’autonomismo fiumano, con l’aiuto sperato degli anglo-americani- (nota dell’autrice) perché godevano di forte consenso e di autorevolezza politica fra la popolazione, impedendo al MPL di coinvolgerli e di inserirli nelle proprie strutture, mentre nei diversi centri istriani operavano diversi “gruppi reazionari italiani”. Inoltre, tra i nemici si contavano i “badogliani”-“talijanaši” ed i vari comitati antifascisti mobilitati in difesa dell’italianità della penisola istriana.

25 Dicembre 1945
Fiume si trova oggi disperatamente sola ed abbandonata in mano ad uno straniero che vuole cambiare la fisionomia etnica e farla totalmente sua. Fiume è stata così il primo boccone dato in pasto all’appetito territoriale slavo ed i fiumani hanno preferito abbandonare le loro case e seguire la via dell’esilio, piuttosto che finire nelle grinfie della polizia ed ingrossare le schiere dei deportati.

In questo contesto, il gruppo “reazionario” indicato dall’Ozna come il “più pericoloso” fu il “Comitato del Partito Liburnico”, che – secondo quanto segnalato al Comitato circondariale del PCC di Pola – trovava sostenitori anche nell’Istria orientale, ad Arsia, ad Albona, a Porto Albona, e a San Lorenzo, ma anche in alcuni villaggi come a Castelnuovo e a Puntera. Ad Arsia erano state individuate, dagli agenti dell’OZNA, e seguite nei loro movimenti, una decina di persone, in quanto coinvolte nelle azioni del Comitato.
Ugualmente ad Albona ed in altri centri minori.

9 Dicembre 1945
Albona – Perdura il mistero sulla sorte del prof.Caputo e dell’albergatore Domenico Dobrini, arrestati dall’OZNA un mese fa, in omaggio alla libertà. Soprattutto nelle campagne, vi erano contadini che cercavano di organizzarsi militarmente in antagonismo al MPL, appoggiandosi a gruppi cetnici. In alcuni casi sorgevano favoreggiatori di movimenti belogardisti, in altri fiancheggiatori dei tedeschi. Non mancavano i disertori, che abbandonavano l’ MPL e si rifugiavano “in bosco”

Pola – Pola era sede del Comitato Circondariale del Partito e l’OZNA aveva a Pola la sua sede regionale; aveva occupato il palazzo che aveva ospitato fino a poco prima la Gestapo.
Le armate jugoslave stavano conquistando palmo a palmo l’Istria e si volgevano verso Trieste, a Pola il morale delle truppe italiane e tedesche era molto basso, a detta delle fonti croate. Questa informazione contrasta totalmente con quanto affermava il primo podestà del periodo fascista di Pola, Luigi Bilucaglia, che parlava di grande entusiasmo delle truppe italiane e tedesche nel difendere Pola.

Scrive a questo proposito l’autrice: “Pola era una città lacerata, non soltanto dai pesanti bombardamenti alleati ai quali era stata sottoposta sin dal gennaio 1944 ma soprattutto sotto il profilo politico, dove le strutture politiche italiane di orientamento antifascista, causa l’attività investigativa nazifascista e gli ostacoli, le accuse e le intimidazioni dei comunisti filo jugoslavi, non erano state in grado di esprimere forme autonome di resistenza italiana, diverse dal MPL jugoslavo. La popolazione cittadina – ad eccezione di quegli italiani che erano entrati nelle fila del MPL e che avevano accettato l’annessione dell’Istria e di Pola alla Jugoslavia – era complessivamente valutata come “reazionaria”, ma nell’ultimo periodo l’Ozna giudicava che l’opera di “convinzione” fra gli italiani avesse cominciato a dare qualche frutto”.

La ricercatrice riporta il giudizio di Mijo Pikunić (capo responsabile dell’OZNA a Pola) – “….Secondo Pikunić, infatti, la “reazione” si era frazionata in due gruppi, fra i “locali di Pola (i polesani)” e gli “immigrati dall’Italia (i regnicoli)”. Egli valutava che col primo gruppo erano stati ottenuti dei buoni risultati, dove eccetto alcuni casi non specificati, tutti guardavano con favore all’annessione del territorio istriano alla Jugoslavia e non conducevano alcuna attività reazionaria. Questi italiani, perciò, non erano ritenuti pericolosi per il nuovo regime; al contrario, invece, la relazione valutava che essi avrebbero cercato contatti col MPL “per salvare le loro posizioni”.
Infine, i “locali” esprimevano giudizi negativi nei confronti dei “regnicoli”, poiché li consideravano “avidi di potere”. Il secondo gruppo, quello dei “regnicoli”, si valutava fosse “abbastanza unito”, dal momento che era solito riunirsi nei salotti di alcune famiglie, dove i suoi membri si “abbandonavano in lunghe discussioni” sulla situazione politica in Istria. A giudizio dell’Ozna, i “regnicoli” non esercitavano alcuna influenza sulle masse, mentre sembrava trovassero l’appoggio delle forze armate italiane, in primo luogo della X Mas, che si stava rafforzando sempre più, del Battaglione “Koata” e della Milizia repubblichina. Un confidente del servizio informativo partigiano aveva segnalato che il programma di questo gruppo consisteva nella difesa della città dai partigiani locali che aderivano al MPL e che trovavano l’appoggio delle truppe fasciste italiane, le quali erano in attesa dello sbarco alleato e della capitolazione della Germania. Altre notizie parlavano anche della costituzione di nuove formazioni armate fasciste, le Brigate Nere, che avrebbero avuto l’appoggio diretto di Mussolini.

Pikunić parla di “ maggioranza favorevole all’annessione “ da parte dei polesani. Dalle sue parole non si capisce perchè 30.000 polesani hanno scelto l’esilio.

Come già osservato in precedenza sul clero, il clero polesano veniva seguito con particolare “cura” (…) gruppo “reazionario” e dunque oppositore politico del MPL, fu considerato in particolare anche il clero italiano. Gruppi legati ai sacerdoti e parroci locali che svolgevano attività politica contraria al MPL e alla sua soluzione jugoslava per Pola e l’Istria, venivano segnalati a Pola, a Dignano, Gallesano e Rovigno. Quest’ultime erano considerate “cittadine italiane”, dove l’Ozna osservava un “certo movimento” da parte di singole persone definite “elementi reazionari”, che secondo diverse fonti, fra loro coincidenti, trovavano il sostegno fondamentale nel vescovo di Trieste, Antonio Santin. Considerato “difensore dell’italianità di Pola”, Santin veniva tenuto “sotto il massimo controllo”, e la sorveglianza era estesa anche a suo fratello, che era cassiere presso la Banca d’Italia di Pola. Si affermava che tali “elementi reazionari” propagavano l’idea che, qualora la “parte croata” dell’Istria fosse annessa alla Jugoslavia, le località abitate da italiani dovevano appartenere all’Italia.

E’ interessante notare come le autorità croate ammettano, nei documenti interni non ufficiali, la presenza di città italiane, mentre la propaganda ufficiale cerca di convincere l’opinione pubblica che l’Istria è stata da sempre croata.

La Guerra finisce
Le operazioni militari nella regione istriana ufficialmente si conclusero il 6 maggio 1945, quando a Pisino gli ultimi reparti tedeschi firmarono la loro capitolazione

Scrive l’autrice: “L’operato dell’Ozna doveva assicurare una chiara “bonifica” politica delle istituzioni e della cittadinanza, dei militari e dei civili, da attuarsi tramite arresti, scomparse, perquisizioni, sequestri. Considerato dal punto di vista del diritto internazionale, si trattava di pratiche extragiudiziarie, e dunque di azioni illegittime, messe in atto senza alcuna garanzia giuridica. Nulla impedì che in quei giorni di grandi cambiamenti fossero arrestate anche persone che non si erano compromesse con gli occupatori e che avevano mantenuto un comportamento leale nei confronti del movimento partigiano jugoslavo durante la guerra. Non esistevano accuse specifiche da addebitare a quest’ultima categoria di arrestati, ma ciononostante non venivano liberati dall’Ozna, che invece affidava la sorte di tali persone al segretario politico distrettuale del partito, il quale godeva dell’arbitrio di decidere il loro invio a uno dei campi di lavoro coatto che erano stati creati in Istria, ovvero alle miniera di Arsia”

Ancora Pola, subito dopo la presa del potere – Avvalendosi perciò dei dossier sui gruppi “reazionari” tenuti sotto controllo, elaborati durante la primavera del 1945, e progressivamente completati di particolari relativi all’attività politica di ognuno di essi, nel circondario di Pola e nella medesima cittadina, gli agenti dell’Ozna e l’esercito fecero prigionieri, uccisero e fecero scomparire nelle foibe gran parte dei soldati tedeschi asserragliati a Musil, nella periferia della città. Inoltre, prelevarono dalle loro abitazioni centinaia di cittadini, che furono arrestati, spesso portati nelle carceri di via Martiri a Pola, trattenuti per alcuni giorni e, in molti casi, deportati per destinazioni rimaste spesso ignote.

9 Ottobre 1945 – Oggi ricordiamo che all’arsenale di Pola sono stati rubati: la cisterna “ Aniene “ carica di materiali vari, il rimorchiatore “ Pianosa “, il rimorchiatore “ 95 “, il rimorchiatore “ Maria Gabriella “, il rimorchiatore “ Megara “, la motopompa “ 75 “, la cisterna “ 87 “, 2 pontoni piccoli carichi di materiali vari, 3 motobarche con motore Diesel e 2 motoscafi. Trattasi di milioni, come si vede.

Per quanto riguarda i tedeschi a Pola

9 Dicembre 1945 – Pola- Da ulteriori accertamenti si ha conferma dell’eccidio di 300 tedeschi inermi, uccisi il 5 Maggio, parecchi giorni dopo la resa e poi gettati in una cava di pietra di Mocenigo. Un altro crimine mostruoso è stato compiuto negli stessi giorni. Molto più semplicemente sono stati sgozzati e quindi gettati in mare ben 3.000 tedeschi inermi. Degli arresti e deportazioni di militari e civili, avvenuti nel maggio giugno 1945 da parte dell’Ozna, gli anglo-americani chiesero conto nell’ambito delle trattative che sarebbero sfociate negli accordi di Belgrado del 9 giugno 1945, insistendo affinché fosse inserita una clausola, la sesta, che prevedeva la liberazione da parte del governo jugoslavo di tutte le persone arrestate e la restituzione di tutte le proprietà sequestrate e confiscate nella regione. Di fronte però alla negazione dell’evidenza da parte jugoslava furono gli stessi negoziatori alleati, interessati a chiudere comunque l’intesa, a suggerire una scappatoia al governo jugoslavo di Belgrado, il quale accettò il testo ma contemporaneamente lo svuotò di ogni efficacia, dichiarando che gli arresti e le confische avevano riguardato soltanto “fascisti” e “criminali di guerra”.

L’attività dell’OZNA continuò e si esplicò anche in vista delle elezioni del Novembre 1945. Il caso più eclatante fu l’arresto del partigiano italiano di Rovigno Antonio Budicin, che voleva presentare una lista propria, diversa da quella ufficiale. Il regime non poteva ammettere la minima possibilità di dissenso, o di proposte alternative, da ciò la decisione di togliere di mezzo l’antifascista rovignese in vista delle elezioni.

Fiume – Le notizie sono tratte dal volume di Giovanni Stelli “Storia di Fiume”. “La conquista da parte dei partigiani titini. Fiume, durante il periodo della occupazione tedesca, era difesa da guarnigioni germaniche e dalle forze della RSI. I partigiani che operavano nella regione attorno a Fiume venivano fortemente avversati dai tedeschi: i partigiani uccidevano e gettavano i corpi nelle foibe (tristemente conosciuta quella di Costrena), i tedeschi rispondevano con rappresaglie feroci (villaggio di Lipa, fucilazione indiscriminata di civili). A inizio 1945 si diffuse la notizia che era imminente uno sbarco degli Alleati in Istria, notizia che poi, purtroppo, si rivelò infondata, o meglio l’ipotesi di sbarco fu messa da parte. Comunque, in vista di ciò, vi fu un rafforzamento delle truppe italiane a Fiume, con contingenti regolari della RSI, Milizia, X Mas, alpini, che diedero vita a combattimenti cruenti, con ingenti perdite da ambo le parti. Vi fu un episodio simile a quello del capitano dei carabinieri Filippo Casini, ucciso a Pola dai titini. Un sottotenente alpino, nativo di Fiume, decise, per salvare la città dai tedeschi, di passare con un suo gruppo di commilitoni al MPL. Scoperto, fu fucilato dai tedeschi.
Ma le difese di Fiume stavano sgretolandosi. Il 20 Aprile 1945 arrivò a Sušak la IV Armata partigiana, i partigiani provenienti da Cherso sbarcarono a Laurana, ingaggiando l’ultima battaglia con forze tedesche e italiane (alpini e X MAS), con perdite ingenti in ambo i fronti. I tedeschi si ritirarono da Fiume e Fiume rimase senza difesa.
Non vi fu sollevazione popolare del MPL, perchè i fiumani erano inerti, indecisi fra una occupazione nazista e una slavo-comunista. La successiva versione del quotidiano di regime “La Voce del Popolo” fu che questa mancata sollevazione fu dovuta alla “criminale politica perseguita dagli autonomisti di Zanella (vedi libro di Stelli, Pag. 290).
La mattina del 3 Maggio 1945 le prime colonne di partigiani scesero dal sobborgo di Drenova ed occuparono la città.

La presa del potere e le deportazioni – “Gli organismi che determinarono il destino di Fiume nel suo passaggio al potere croato furono il CPC (Comitato Partigiano Cittadino) e l’OZNA. A capo del CPC fu posto un fiumano italiano, gradito ai croati, mentre l’OZNA fu sempre guidata da elementi croati. La Voce del Popolo, fondato da Zanella, nel 1889, divenne l’organo ufficiale del partito comunista e fu usato in tutte le campagne di diffamazione. Altra organizzazione di massa era l’UAIS, che agiva in combutta con le organizzazioni citate. La prima azione fu quella di eliminare i zanelliani, autonomisti antifascisti che avevano respinto le proposte dei movimenti partigiani croati che volevano che aderissero all’annessione di Fiume alla Jugoslavia.  Zanella aveva avuto e ancora aveva una forte influenza, sia in ambito cittadino, che internazionale.
Altri gruppi autonomisti, di Don Polano e di Rubinich, avevano meno peso e si sciolsero per le persecuzioni subite. Dopo gli autonomisti, la persecuzione si rivolse agli esponenti fascisti,, in primis Riccardo Gigante. Il Podestà Sirola, fuggito a Trieste alla venuta dei titini, fu prelevato nella città giuliana, trasportato a Fiume e fatto scomparire.
Il clero fu perseguitato, l’arcivescovi di Zagabria Stepinac condannato a 16 anni di lavori forzati. Il terrore a Fiume, secondo uno studio accuratissimo di Amleto Ballarini, coinvolse sicuramente 500 persone, più un certo numero scomparsi di cui si sono perse le tracce. Questa è stata la versione jugoslava dello stalinismo, causa principale dell’esodo massiccio dalla città di San Vito”.

27 Febbraio 1946 – Dalla trincea Istriana – “La guerra in Istria è ancora in atto con le sue vittime, con le sue offensive sanguinose, la sua crudeltà ed i suoi slanci. L’animo del popolo istriano è lo stesso del combattente in trincea. Oggi dopo 10 mesi di pressione insistente, dopo alcuni attacchi di violenza estrema … (gli istriani) devono abbandonare la trincea (e vi hanno dovuto lasciare i loro morti, la loro famiglia, la propria casa)”.

28 Marzo 1946
Il Fronte per la Resistenza Istriana denuncia alle Nazioni Unite ed alla opinione pubblica mondiale Tito e i sostenitori del suo regime quali responsabili di;
a) Violazione degli usi di guerra
b) Oppressioni
c) Forme crudeli di tortura
d) Delitti comuni compiuti su vasta scala sotto specie politica
e) Diffuse confische di beni
f) Deportazioni illegali
g) Infrazioni alle leggi d’umanità e ai dettami della coscienza pubblica quali sono stati
codificati nella IV. Convenzione dell’Aja del 1907”»

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