Giovedi 14 Gennaio alle ore 17, in diretta facebook alla pagina dell’Associaizone https://www.facebook.com/groups/2559430654128300, si è svolta la nuova conferenza che ha avuto come tema “Tarnova nella Selva, baluardo alla difesa d’Italia. Due fratelli a confronto”, relatore il giornalista Valentino Quintana. Qui di seguito un breve resoconto a cura del realtore.
«Taluni eventi bellici, riguardanti l’ultima guerra mondiale, hanno anche determinato i destini di molte famiglie, caratterizzandone in maniera profonda l’esistenza dei protagonisti, in particolare Giorgio e Mattia Gherdovich, personaggi letterari nati dalle pagine dei romanzi storici “Fratelli Contro” ed “Il Confine Tradito” (Leone Editore, rispettivamente 2017 e 2020), opera della penna e della ricostruzione storica dello scrittore padovano Valentino Quintana.
Costoro erano i figli di un importante esponente del Partito Fascista Triestino, Gianni, “educati” parimenti con valori legati al culto del Littorio, nati e cresciuti nella Trieste del primo dopoguerra, la città “monolitica”, secondo la definizione di Angelo Ara e Claudio Magris, ma soprattutto desiderosi di contribuire con il loro operato, alla formazione della nuova Provincia di Lubiana, sorta dagli “stravolgimenti” bellici nel 1941, seppur serbando convinzioni politiche differenti e visioni del mondo contrastanti.
Nel 1941 entrambi si recarono in questo territorio, animati da grande entusiasmo e dalla spontaneità legata alla loro giovane età. La guerra però mutò gli animi delle persone, esasperandone le posizioni, e rendendole spesso nemiche. Una data segnerà la fine della loro ventennale amicizia: l’otto settembre 1943, il momento più tragico per le genti giuliano – dalmate. Secondo la ricostruzione della storica Marina Cattaruzza, proprio in quel momento, l’Esercito italiano, privo di ordini, lasciò sguarniti depositi, magazzini, armi che entreranno nelle mani della resistenza jugoslava capeggiata da Josip Broz Tito, il leader che aveva unito tutte le differenti anime balcaniche nel nome della conquista delle terre, dove gli italiani godevano di una secolare presenza.
Tra i giovani, in Italia, emersero due ribellioni opposte: quella di coloro che a guerra perduta, sceglieranno di giurare fedeltà allo stato fascista repubblicano. E quella di coloro ai quali apparteneva Mattia, deluso dall’esperienza slovena con l’intento di seguire gli ideali rappresentati dalla donna amata, Ančka, partigiana dell’Esercito di Liberazione Popolare di Tito, decideranno di unirsi alle truppe partigiane jugoslave.
In un’Italia divisa tra fazioni e in un conteso confine orientale, i due giovani, ignari, saranno obbligati da un avverso destino, a combattere sul campo di Tarnova nella Selva, uno di fronte all’altro, durante una delle battaglie più feroci ed ideologiche della Seconda Guerra Mondiale, portata all’esasperazione dal nazionalismo, dall’orgoglio etnico, da due differenti civiltà: quella slava del IX Korpus dell’Esercito di Liberazione Popolare di Tito e quella italiana, rappresentata dalla Divisione Fanteria di Marina X°.
Tarnova, era considerata da sempre il luogo ideale per i ribelli e partigiani jugoslavi, poiché da quell’altipiano situato tra gli 800 e 1200 metri, boscoso ed impraticabile, si potevano controllare le Valli dell’Isonzo, per giungere sino a Gorizia.
Lo Stato Maggiore tedesco aveva elaborato un macchinoso piano, denominato “Adler Aktion” per eliminare la presenza partigiana in loco. Siamo nel freddo inverno del 1944-1945 tra la fine di dicembre e il gennaio dell’anno nuovo, caratterizzato da una temperatura scesa di diversi gradi sotto lo zero, e da condizioni del terreno molto avverse. Un’imboscata tesa al comandante Carallo, aveva posto il IX Korpus a conoscenza del piano “Adler” e delle disposizioni relative ai reparti italiani ivi schierati, e ben presto vennero prese da parte jugoslava le opportune contromisure. Se il primo confronto di fine dicembre aveva visto un successo tattico e psicologico a favore della Decima Mas, il IX Korpus era determinato a riprendersi la rivincita, a breve, nel diretto confronto con gli italiani.
A metà gennaio il Battaglione “Fulmine”, ove militava Giorgio Gherdovich, dava il cambio al “Valanga”, insediandosi a Tarnova con 214 Marò e 4 genieri del Freccia e 17 fm. Breda. L’abitato veniva suddiviso in settori difensivi con 12 fortini esterni, muniti di reticolati di difesa e collegamenti telefonici, sotto la copiosa neve.
La prima granata di mortaio alle 5.40 del 19 gennaio del 1945 dava inizio all’infernale battaglia di Tarnova. Raffiche di armi pesanti e colpi precisi abbatterono i fortini esterni, distrussero le postazioni e le abitazioni presidiate. Il gelo aveva bloccato l’efficienza dei campi minati ed i reticolati erano stati divelti. Le radio lanciavano via etere l’allarme in codice: occorrevano rinforzi urgenti.
Il Battaglione Fulmine, in costante pericolo, difendeva, anche se con numeri nettamente inferiori rispetto alle armate di Tito, ogni tentativo di sopraffazione, e ad ogni richiesta di resa, arrivava puntuale un netto rifiuto. Al grido di battaglia slavo “Juris, Juris, veniva risposto animosamente con il motto “Decima, Decima”!
In questa fase angosciante, tra grida di dolore, colluttazioni, spari isolati, il mondo per un attimo si blocca: i due fratelli Gherdovich si rivedono, si riconoscono, ognuno con le proprie ferite, dolori, drammi personali. E dopo un iniziale stupore, scelsero, ancora una volta, di continuare la guerra, ognuno in base alla scelta compiuta quella tragica notte dell’otto settembre del 1943, preludio della cosiddetta “morte della Patria”, secondo la definizione dello storico Ernesto Galli della Loggia, della prima ondata delle foibe, della distruzione di Zara, della guerra civile.
Nella notte tra il 20 e il 21 gennaio, la brigata jugoslava “Kossovel” riuscì a penetrare nell’abitato di Tarnova in fiamme e abbandonata, ostacolata dagli ultimi gruppi di resistenza italiani, intenzionati a morire piuttosto che cedere. Essi furono liberati solamente dopo 56 ore di assedio, grazie all’operazione di sganciamento che aveva potuto riorganizzare le truppe italiane ed inseguire il IX Korpus, che mai poté assaporare il piacere della vittoria, poiché costretto alla fuga.
In una battaglia che non ha visto reali vincitori e vinti, infatti, tra il dicembre del 1944 e il gennaio del 1945, il solo Battaglione “Fulmine” a Tarnova aveva avuto 86 morti, 52 feriti gravi, altri 46 in modo lieve, 8 dispersi. Su un organico di 214 persone, l’82% era caduto in battaglia, nel tentativo di difendere i confini d’Italia conquistati col sangue di 680.000 morti e migliaia di mutilati nella guerra mondiale precedente. Un sacrificio immenso, dove anche due fratelli avevano dovuto fronteggiarsi l’uno contro l’altro.
L’amore fraterno però si era dimostrato più solido ed efficace di qualsiasi brutale conflitto e prevalse con fermezza su ogni forma di ostilità. Solamente l’Italia libera riunirà la famiglia Gherdovich, quanto tutte le lotte intestine e fratricide saranno terminate. Mattia e Giorgio hanno sofferto, lottato, ma si sono ritrovati uniti nell’amore fraterno e nella gioia per la ritrovata (quanto apparente) libertà. Il primo entrerà, assieme all’amata donna a capo del IX Korpus jugoslavo in una Trieste che lo rifiuterà, l’altro dovrà scegliere l’esilio, anch’egli accompagnato dalla fanciulla amata. Torneranno, dopo alcuni mesi di lontananza reciproca, nella Trieste del dopoguerra, riconciliandosi per un ideale comune: salvare la Venezia Giulia dalle mire espansionistiche di Tito. E nel loro amore sconfinato per quell’Istria rossa, finiranno, in ultima istanza, in un campo profughi della Capitale, protesi nell’assistenza morale e materiale agli esuli. Essi purtroppo, nulla avevano potuto di fronte alle decisioni delle Grandi Potenze emerse durante la Conferenza di Pace di Parigi, grazie alla quale vennero decise le sorti della Venezia Giulia e degli italiani adriatici.
Poiché il loro ricordo, tocca le corde dei nostri cuori, onoriamo coloro che, a costo della vita, hanno scelto di immolarsi in un impervio altipiano, la Selva di Tarnova, per difendere anche la nostra libertà, valore irrinunciabile ed universale»
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