Il Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha recentemente presentato in videoconferenza con il prof. Rumici il terzo volume della serie, dedicato all’immediato dopoguerra.
Guido Rumici ed Olinto Mileta Mattiuz, attenti ed apprezzati studiosi degli sconvolgimenti che hanno interessato il confine orientale italiano nel corso del Ventesimo secolo, hanno compiuto una preziosa opera di ricostruzione memorialistica e storica con la pubblicazione della tetralogia Chiudere il cerchio. Memorie giuliano-dalmate, edita da ANVGD Gorizia – Mailing List Histria.
Il Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha recentemente presentato in videoconferenza con il prof. Rumici il terzo volume della serie, dedicato all’immediato dopoguerra.
La sequenza di testimonianze raccolte dagli autori risulta suddivisa in sei sezioni, la prima delle quali è dedicata alle tragedie che accompagnarono la fine del conflitto nella Venezia Giulia, con lo stillicidio di efferatezze che sembrava non voler mai finire. Giunse tuttavia “Il tempo delle scelte”, sempre drammatiche e sofferte, per cui ci sarà “…gente che va…” e parte “Via per il mondo”, “…gente che viene…” e “…gente che resta…”.
Uno dei meriti di quest’opera, infatti (oltre al principale di aver raccolto, al termine di una lunga e non semplice selezione, testimonianze che l’incedere del tempo rischiava di cancellare definitivamente) è quello di aver assemblato tutte le sfaccettature del complesso mosaico giuliano-dalmata di fine anni Quaranta, per cui alla tragedia degli Esuli si era affiancata l’opzione dei cosiddetti “rimasti”, tanto a lungo oltraggiati ed osteggiati, ma che da un certo punto di vista sono riusciti, nonostante tutto, a salvaguardare ancora una parvenza di italianità oltre il confine nazionale.
Il duro impatto con una nuova realtà vissuto dagli esodati sparpagliati in giro per l’Italia ed il mondo trova quasi un corrispettivo (anche se quantitativamente pressoché incomparabile) con la vicenda di chi, nella convinzione di andare ad edificare il socialismo, compì baldanzosamente il percorso inverso per tentare di tamponare le falle che la fuga di decine di migliaia di italiani aveva cagionato nel tessuto sociale e produttivo istriano e fiumano. La storia dei cosiddetti “monfalconesi” è una delle prime testimonianze di come le dispute dottrinarie e politiche fossero profonde e dirompenti pure all’interno di quel blocco comunista che agli occhi dell’opinione pubblica occidentale sembrava un minaccioso monolite.
Nelle varie sezioni in cui l’opera si articola, compaiono testimonianze di personalità note a chi studia le vicende del confine orientale italiano: dal compianto Lino Vivoda, che racconta non solo della carneficina di Vergarolla, ma anche una volta ancora con immutata passione il tristemente noto episodio del “treno della vergogna”, a Mario Dassovich passando per Giacomo Scotti e troviamo pure il campione mondiale di pugilato Nino Benvenuti e la scrittrice Nelida Milani. Altresì non mancano i racconti di testimoni meno noti al grande pubblico, ma che proprio nella loro genuinità e spontaneità ben rappresentano la sofferenza delle migliaia di nostri connazionali travolti da una tragedia capace di sconvolgere un’intera società.
Il prof. Raoul Pupo, autore di una “Nota storica sul dopoguerra ed esodo” introduttiva a tale opera, ha in altra sede individuato il termine “spaesamento” per definire questo sconvolgente cambiamento epocale consumatosi sotto gli occhi e nelle sofferenze degli istriani.