“Diario di una perpetua di campagna” di Diego Goso edito da San Paolo, di pagine 187, si può dire che nella frase “Non ho mai conosciuto una perpetua felice di essere chiamata in questo modo” c’è molto del libro e del racconto in prima persona di ciò che ha rappresentato essere una perpetua.
Un diario quotidiano in cui si narrano le vicissitudini di una donna che ha trascorso la vita lavorando per i sacerdoti. Dall’addio al prete anziano, Don Alessandro, che a 86 anni andando in pensione passa il tempo che gli resta a coltivare insalata e pomodori.
All’arrivo del prete giovane, Don Marco, che la perpetua attende e vede entrare e subito lo considera come un “figlio” da aggiungere alla cucciolata. Il ricordo di Alberto omone che si occupava delle mansioni faticose che non andava mai in chiesa perchè apparteneva “alla religione del bar”.
La prima Messa ed il primo funerale di don Marco come ricorda la perpetua la parrocchia non può aspettare non si può “chiudere per ristrutturazione” o “cambio gestione”. La gestione può cambiare ma il padrone di casa è sempre lo stesso e non smette di guardarci.
Il racconto di come si svolse la vita in una parrocchia ed alla casa che aveva costruito il marito Luigi vicino alla chiesa e dei figli, ragazzi che ancora la trattano da regina oltre che da mamma.
Uno dei punti che colpiscono, tra i tanti presenti nel libro, è la domanda che la perpetua si pone riguardo alla consapevolezza da parte del Vescovo che la parrocchia non è sua o del parroco o delle famiglie che la vivono che usano la parrocchia per affermarsi socialmente.
Così come il giorno della festa per l’arrivo ufficiale del prete giovane con il sindaco e la banda. Passata la festa, gabbato il festeggiato, così la perpetua ricorda le incombenze del prete giovane ed individua tre punti critici della catechesi di oggi.
Il primo i ragazzi che vogliono andare in parrocchia per tirare calci ad un pallone non perciò che la Bibbia racconta. I genitori di corsa ed arrabbiati che usano la parrocchia per scaricare le proprie frustrazioni.
I catechisti o come dice “le catechiste” una professione “in rosa” nel paesello della perpetua. Mamme e nonne che cercano di spiegare ai figli degli altri ciò che non riescono a fare accettare ai propri familiari.
Gli aneddoti raccontati sono molti e lasciamo che l’attento lettore li scopra leggendo. Questo libro parla della felicità che una donna ha trovato nel servire un parroco; una figura diversa e lontana dal personaggio della perpetua manzoniana.
La sua è una vita faticosa ma vissuta con grande gioia. Perpetua ossia sempre presente, sempre disponibile senza orari e preconcetti. La parrocchia è un piccolo universo in cui l’intera società, con tutto ciò che c’è di buono e con tutte le sue contraddizioni, è rappresentata. La perpetua ne è la custode che osserva, capisce non giudica.
Un esempio per tutti.