Nell’Introduzione Maria Luisa Iavarone, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Napoli, espone lo scopo del libro: attraverso la violenza subita a Napoli dal figlio Arturo da ragazzi incoscienti, rendere consapevoli che il fenomeno della violenza minorile è diffuso e incompreso, per cui sono indispensabili interventi innovativi.
Nel libro la mamma descrive in modo accurato l’accaduto, mentre il giornalista Nello Trocchia lo esamina dal punto di vista giudiziario.
Tutto ha inizio il 18 dicembre 2017 quando Arturo, mentre si sta recando a svolgere una commissione per il padre, è colpito col coltello in varie parti del corpo da quattro ragazzi (Gennaro, Francesco, Antonio e Ciro), poi sfuggiti. Sono tutti appartenenti a famiglie in situazioni disastrose, che non si prendono cura di loro, anzi, con i loro comportamenti, li inducono ad intraprendere la via della droga e della delinquenza, tralasciando del tutto la scuola. Quando colpiscono Arturo hanno già alle spalle esperienze di carcere. Ricoverato all’ospedale san Giovanni Bosco, è in rianimazione in gravi condizioni: subisce l’espianto di un polmone, è in coma farmacologico, ma il giorno dopo è fuori pericolo, grazie all’intervento del chirurgo e al personale.
La vicenda di Arturo è occasione per il giornalista Nello, inviato del quotidiano “Domani”, di offrire la situazione dell’Ospedale San Giovanni Bosco, nelle mani della famiglia criminale oggi più potente della Campania: l’Alleanza di Secondigliano. L’assistenza è per gregari e capi, affiliati per favorire i loro affari, mentre non c’è accoglienza per le altre persone. C’è un giro di soldi: l’Ospedale si sostituisce allo Stato e all’autorità pubblica, i professionisti sono a disposizione dei clan, che hanno dimenticato la missione. Ciro, uno degli aggressori, non viene neppure citato in tribunale, perché appartiene alla famiglia criminale dei Mauro.
Iniziato il momento duro del recupero aiutato da un’esperta psicoterapeuta, Arturo, sebbene fragile, non si scoraggia: ora deve abbandonare il ricordo, essere sottoposto a interrogatori (anche da parte di “falchi”). La madre si sente divisa: da una parte vede suo figlio aggredito, dall’altra prova pena per quelli che lo hanno assalito, a loro volta rovinati nella loro vita di figli. Intervistata da giornalisti sente l’urgenza di denunciare la sottrazione della responsabilità genitoriale, che porta i figli a delinquere.
Il gesto di Maria Luisa suscita reazioni forti tra i vari membri dei clan, i quali operano sui ragazzi che, manipolati, diventano “uomini d’onore”. Invitata a partecipare a trasmissioni con rappresentanti di governo sul tema di minori e giustizia e sulla sottrazione della patria potestà nel contesto del degrado criminale, rinuncia a trasmissioni televisive in cui si contrastano opinioni dissimili sulle realtà delle baby gang a Napoli e sceglie di comunicare attraverso la cultura popolare, in dialetto, per abbattere le barriere sociali e culturali e svelare il mondo dell’omertà e dell’indifferenza che copre i ragazzi senza proteggerli.
Grazie a “Save the Children”, la Direzione Antimafia, Matilde Serao, fondatrice del quotidiano napoletano “Il Mattino” si sottolinea la centralità della famiglia, del contesto famigliare, dell’età dell’infanzia, con la necessità dell’asilo per arginare il degrado sociale di Napoli. Attraverso il colloquio tra le madri si scopre che esse sanno quanto male stia dietro i loro figli, sospettano, penano, ma sostengono: sono complici e vittime. Ma alla base di tutto c’è l’assenza di asili nido e il degrado di abitazioni.
Attraverso incontri con ministri, sindaci e magistrati, ma soprattutto con gente comune, Maria Luisa suscita solidarietà ed empatia, anche tra i compagni di scuola, con sfilate davanti alle vetrate della rianimazione, numerosi messaggi, uno striscione fuori del padiglione dell’Ospedale: “Arturo, siamo con te”, con cui organizzano una manifestazione a sostegno di Arturo, per denunciare i fatti avvenuti.
Partecipano anche mamme con un cartello “Arturo è figlio di tutte”. I media incominciano a seguire la vicenda con interesse, richiedono testimonianze di Maria Luisa, che denuncia il degrado napoletano sottolineando le responsabilità dei cittadini e dei genitori, e soprattutto le istituzioni. Tutto ciò con molto sforzo, sapendo che è rischioso. Si sono aperte le opportunità di stringere rapporti con associazioni, è stata ospite di iniziative a sostegno della sua causa. Nonostante maldicenze e critiche, M. Luisa sceglie di diffondere il suo operato negli spazi dei quotidiani nazionali e locali.
Quando Arturo è dimesso e ritorna a casa, Maria Luisa si sente quotidianamente osservata e controllata a distanza, addirittura le dicono di voler trarre un vantaggio personale…Ci sono tentativi di intimidazione, ma Maria Luisa non cede, confessa in Tv di essere oggetto di minacce; la sera stessa compare l’intervista in cui denuncia l’atteggiamento mafioso della camorra e dopo quella trasmissione le intimidazioni cessano. Questo è un segno che la Napoli marcia sta tentando di schiacciare la Napoli sana, intimidendo le persone perbene che dovrebbero collaborare alla verità. Ma Maria Luisa, d’accordo non Arturo, non cede; è anche sostenuto da Vito, rapinato due volte prima di Arturo che, avendo al comando di zona la madre amica, denuncia al comandante dei poliziotti, che sono padri di famiglia che svolgono giustizia come missione. Così Francesco (‘o Nano) è trattenuto in carcere.
Maria Luisa denuncia le lunghe attese in tribunale in cui soprattutto vede due opposti stati d’animo: i volti di chi è addolorato per le sorti dei congiunti e persone che scherzano fra loro, quasi per rassicurare che il processo è una cosa abituale. Riguardo ad Arturo, gli avvocati comunicano che sono stati inflitti nove anni e tre mesi per ciascuno dei tre imputati e le sentenze dei giudici riconoscono che le colpe dei ragazzi sono conseguenze di una totale assenza delle famiglie, dell’educazione, della socialità, per cui sono vittime di un ambiente in cui dominano il silenzio e il mercato, cioè la strada, in cui c’è il ricorso alla violenza.
Questa cessa solo quando nasce “Artur”, un’associazione che propone nuove prospettive, nuovi modi di “laboratorio di impegno sociale e culturale “ (anche se ha ricevuto critiche da qualcuno).
Il giorno della Cassazione non c’è nessun dibattito: è un processo formale e burocratico; si apprende dai giornali la conferma di condanna di nove anni e tre mesi. Arturo, alla richiesta della mamma di esprimere il suo parere, risponde che non si può essere felici, sapendo che qualcuno è in carcere per motivi così gravi.
Una storia vera, molto coinvolgente, che rivela verità per lo più sconosciute, ma che sono largamente presenti in alcune località della nostra Penisola, con lo scandalo di
usare ragazzi che inconsciamente operano con illegalità, anche fino all’uccisione.
Maria Luisa Iavarone – Nello Trocchia “Il coraggio delle cicatrici” – UTET – euro 16.00