La gamba del nonno. Storia di Giovanni Boscagli

Essa rileva i valori fondamentali su cui si regge tutta la vita del nonno: l’amore affettuoso e premuroso per la famiglia, la fede profonda, il valore del lavoro e del sostegno sociale, l’importanza dell’amicizia, il rispetto dei doveri verso la patria anche nei momenti più bui, cura fraterna per la vita di tutti.

Così si svolge la vita di Jeannot, primogenito di tre fratelli, discendente da genitori italiani, ma nato e cresciuto a Monaco. Una famiglia molto unita, che risente delle difficoltà economiche suscitate dalla Grande guerra, che mette a dura prova anche i giovani. Jeannot , a causa dell’invasione di Hitler il primo settembre 1939 in Polonia, dopo la chiusura dell’Hotel La Plage del signor Tellia dove lavora, rientra a casa, accolto con abbracci da tutti i suoi cari.

Poi con gli amici Lulù ed Hector accetta la proposta di “Casa degli Italiani” che offre ai cittadini italiani residenti all’estero senza lavoro di rimpatriare e prendere il posto di lavoro di chi era stato chiamato al fronte. Iniziano così le vicende che segnano la vita di nonno Giulio fatte di viaggi, burocrazie, abbandono di amici, rischi per la vita.

Dopo la prima destinazione a Siena a Villa Pivone (dove non riceve il sussidio), il viaggio a Roma presso il Ministero, la partenza per Cosseria fino alla chiamata alle armi nel 1942, destinazione Aosta nel 1° Reggimento Artiglieria Alpina.

Ma il 24 Aprile 1941il Gruppo Aosta è imbarcato per raggiungere Sarajevo, dove vengono portati a Mostar su un autocarro per rastrellare i partigiani di Tito che sabotavano le operazioni italo-tedesche per liberare la Jugoslavia dall’occupazione nazifascista e riprendere il controllo dei Balcani.

Si succedono diverse destinazioni: nominato capo pezzo il 16 giugno 1942, studia per diventare sergente, e dopo settimane di studio viene destinato alla IV batteria per coordinare la pattuglia di Osservazione e Comunicazione.

Con Tiezza Felice (compagno di classe a Monaco) e quattro francofoni provenienti dalla Savoia, la festa di Natale è vissuta in amicizia, sperando di sopravvivere combattendo in una guerra che nessuno di loro vuole. A fine gennaio Jean viene trasferito a Foca alla V Batteria, con l’abbraccio malinconico degli amici.

La situazione si complica, perché le bande di Tito sono diventate molto numerose e non bisogna lasciare occupare la Drina.

Il 14 aprile a Montenegro il sergente Boscagli, che sostituisce il caporale, è colpito da una mitragliatrice alle gambe nelle quali sono conficcate schegge, pezzi dei scarponi e calze. Infezione e dolore sono insopportabili; al buio viene portato all’ospedale da campo, dove il medico si prende cura. Occorre salvare la gamba destra e ridurre il più possibile la cancrena che avanza nella sinistra. Jean con antidolorifici passa la notte in un dormiveglia. Il risveglio per Jean è drammatico: la gamba mutilata, un dolore immenso, la solitudine gli pongono domande sulla presenza di Dio, sul perché si era arruolato contro la volontà dei genitori.

Maledice Dio, prende la pistola, appoggia la canna alla tempia e preme il grilletto, ma Jean non muore. Singhiozza in modo disperato, è avvenuto un vero miracolo: il primo proiettile si è incastrato, impedendo al percussore di fare fuoco. Il dottore lo incoraggia che la mutilazione non è la fine, che ha ancora una vita davanti. Jean, rimasto solo, piange un pianto di liberazione, si rende conto che Dio non lo ha mai abbandonato.

Tra i mutilati giunti a Sarajevo Jean stabilisce un rapporto di amicizia con Moretti a cui era stato distrutto il malleolo; c’è Hildegarde, un’infermiera cinquantacinquenne molto gioviale e il cappellano infonde fiducia e speranza. Il “suo” capitano gli comunica che ha proposto per lui la medaglia di bronzo al V.M. che sarà il segno di riconoscenza della Patria per il suo ottimo comportamento.

Questo rincuora molto il giovane Boscagli che è pronto ad affrontare le operazioni e la riabilitazione.

Una mattina gli viene applicata una massiccia gamba di legno, ma lo attendono ancora lunghi mesi di fisioterapia; Jean si impegna e nel giro di due mesi cammina già senza stampelle e gli viene consentito di soggiornare presso lo zio a Torrita in Toscana, dove viene accolto dai tutti i parenti con una grande festa.

Viene alloggiato a Trieste per 10 giorni all’ospedale “Margherita di Savoia”, poi diretto al “Fatebenefratelli” di Milano, ma anch’esso era stato bombardato e i pazienti trasferiti a Lecco, che Giovanni non conosce. La bellezza del paesaggio della nuova città stupisce e affascina Giovanni; vede i monti, si reca in Piazza Era a Pescarenico, dove i pescatori tendono le reti; sente il rumore delle numerose officine che lavorano i metalli, il grande stabilimento Badoni che dà lavoro a migliaia di operai. Ringrazia Dio per averlo sempre assistito: ora si apre una seconda vita e non solo la “pensione privilegiata di terza categoria”, ma Giovanni accetta anche di frequentare corsi per tornitori e manutentori per imparare un mestiere per non vivere da mantenuto e, se possibile, avere il dono di una famiglia (lui mutilato e squattrinato).

Questo si manifesta attraverso la conoscenza della crocerossina Maria Arrigoni, dal sorriso accogliente e cordiale. Inizia un dialogo, chiede di potere uscire insieme, richiesta prontamente accolta e molto gioiosa per Giovanni. Si comunicano reciprocamente gli anni della vita in famiglia, con i disagi sempre superati con coraggio e fiducia nella Provvidenza. Il bacio al cinema il 23 settembre 1944 segna l’inizio di un’unione fatta di tenerezza, che rende più saldo il morale di Giovanni. Traferitisi a Malnago per evitare il rischio dei bombardamenti, durante un pranzo domenicale chiede al padre Ernesto di poter frequentare sua figlia e uscire con lei.
Con le dovute clausole il permesso è acconsentito. La festa della fine della guerra il 25 aprile 1945 con il sacrificio della vita di molti giovani, molti mutilati, sconvolge Giovanni, però i due fidanzati si proiettano nel futuro, pensando alle numerose testimonianze di altruismo di infermieri, medici e crocerossine.

Giovanni, dopo il trasferimento a Tolone per il peggioramento della situazione, riesce a tornare a Monaco grazie all’interessamento della Croce Rossa: abbracci, saluti, e la rivelazione che parte per raggiungere a Lecco quella che sarà sua moglie.

L’8 Settembre 1947 Giovanni si unisce in matrimonio nella chiesa di Pescarenico: testimone Lulù. Assistono anche amici e parenti giunti da Francia, Toscana e Liguria: la chiesa è gremita.

Molto toccante la conclusione, in cui Giuditta , dopo aver descritto il vuoto lasciato dalla morte della nonna dopo 58 anni di matrimonio, esprime il forte legame che ha sempre unito la grande famiglia, sin da piccoli, quando si giocava con la “gamba di scorta del nonno” (protesi che teneva nell’armadio). Proprio guardando alle radici Giuditta vede la speranza della vita, che ha appreso da tutta la sua famiglia e che intende condividere con tutti i lettori. Il 12 Agosto 2013 nonno Giovanni muore ed è ricordato in cinque strofe piene di gratitudine per i valori morali e umani trasmessi nella sua vita piena di sacrifici e di coraggio esemplare.

Una lettura fortemente emotiva, che permette di rivivere momento per momento, attraverso le vicende di nonno Giovanni, i dolorosi eventi della guerra, con tutti i sentimenti che trasmettono dal vivo quanto la grande famiglia Boscagli ha vissuto, in comunione con tutti i soldati, morti o dispersi, nel rimpianto accorato dei familiari.

Il libro di Giuditta è solo un omaggio al nonno e alla famiglia ed è vietata la riproduzione. Tanto toccante la lettura con i valori spirituali, umani e sociali che sono contenuti in un clima “familiare” che abbraccia il mondo intero!

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