Sono stati terminati gli scavi dell’Università dell’Insubria a Cittiglio, sul sagrato della chiesa dedicata a San Biagio. Il team del Centro di ricerca in osteoarcheologia e paleopatologia dell’ateneo, coordinato da Marta Licata, è riuscito ad organizzare l’ultima tranche dei lavori, iniziati nel 2016, nel rispetto delle norme di sicurezza dell’emergenza sanitaria. Il sito diventa così la prima tappa compiuta per la creazione di un percorso archeologico in Valcuvia, una sorta di «musealizzazione a cielo aperto» il cui progetto è stato finanziato con 128mila euro dal bando Emblematici Provinciali 2019 di Fondazione Cariplo e Fondazione Comunitaria del Varesotto. Restano ora da concludere, nella primavera 2021, gli altri due scavi previsti nel progetto: il sito cimiteriale di Sant’Agostino a Caravate e l’ossario della Cripta della Chiesa del Convento di Azzio.
A Cittiglio rimarranno ancora per molto tempo gli antropologi, che stanno ricostruendo un interessante quadro rappresentativo della popolazione che ha vissuto nel borgo di San Biagio, attraverso lo studio dei reperti ossei che provengono da circa cinquanta sepolture e sono attualmente oggetto di ricerca del dottorato di Chiara Tesi con il professor Mario Picozzi.
«Si tratta di una popolazione – spiega Marta Licata – dedita soprattutto ad attività lavorative pesanti, non estranea ad episodi di violenza e che soffriva molto di patologie dentarie.
Purtroppo, anche il cimitero di San Biagio ci racconta la triste storia di bambini che difficilmente superavano il quarto anno di vita, perché gli strati archeologici hanno documentato la presenza di scheletri di infanti, che ad oggi rappresentano più della metà del campione».
I lavori di scavo a Cittiglio, curati dall’Università dell’Insubria ed eseguiti da Archeo Studi Bergamo, sotto la direzione scientifica del funzionario della Soprintendenza Sara Matilde Masseroli, hanno permesso anche lo sviluppo di nuove indagini su piccoli manufatti.
Gli oggetti rinvenuti appartengono a un arco di tempo che inizia dal Medioevo ed arriva sin dopo il Rinascimento e sono catalogabili come piccoli utensili quotidiani, presenti sul corpo del defunto quando è stato sepolto, come fibbie o medagliette devozionali. Sono riemerse inoltre porzioni di strutture murarie antecedenti il sepolcreto che sono ora in fase di studio.
«Questo percorso che tocca Cittiglio, Azzio e Caravate – aggiunge Marta Licata –, intende valorizzare il patrimonio archeologico partendo da quelle realtà minori che riservano grandi prospettive di indagine per il futuro. Puntiamo alla creazione di un polo di interesse per tutti quei luoghi vicini, sconosciuti, inesplorati che forse sono ancora inconsapevoli del loro potenziale bioarcheologico. Basta guardarsi intorno e vedere ad esempio quante chiese di antica fondazione, anche quelle fortemente compromesse dal tempo, fanno da sfondo ai nostri paesaggi. Noi come Centro universitario, siamo pronti a intervenire con scavi e studi di reperti, anche raccogliendo le segnalazioni di siti da parte del pubblicato interessato».
Il progetto, nella sua complessità, vede la partecipazione di diversi partner e sostenitori tra cui il Gruppo Amici di San Biagio guidati dall’ingegner Antonio Cellina, la Parrocchia di San Giulio Prete, il Comune di Caravate, la parrocchia di Azzio, l’associazione Lezedunum, Padana Assistenza, Centro Studi e documentazione per la Valcuvia e l’Alto Varesotto Giancarlo Peregalli, la ditta Mascioni e la Società Storica Varesina.
Le indagini archeologiche e la realizzazione di restauri volti alla musealizzazione saranno condotti sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese e per il sito di Caravate sotto la responsabilità scientifica di Andrea Spiriti, professore di archeologia e storia dell’arte dell’Università dell’Insubria.