Gli assalti ai palazzi istituzionali di Brasilia, che richiamano fatti analoghi accaduti un anno prima a Washington, costringono a un’attenta riflessione sullo stato della democrazia nei paesi occidentali.
Solo di questi ultimi in effetti ci si deve occupare se è vero, come scrive Mauro Magatti in un recente editoriale su Avvenire, che “il radicamento della democrazia e del libero mercato in Paesi non occidentali rimane affare assai complicato”: un’affermazione , questa, che giudica l’illusione delle amministrazioni Usa di esportare con la forza delle armi la democrazia nel mondo.
Anche nei paesi occidentali non si può però negare che la democrazia sia in sofferenza. Sembra sempre più difficile rispettare le regole del gioco democratico, si fatica ad accettare l’esito di una votazione sia in modo violento, come abbiamo accennato sopra, sia in modo più subdolo quando i risultati non confermano le proprie aspettative (vedi il fuoco di sbarramento portato da diversi pulpiti laici contro l’appena insediato governo Meloni).
La questione è delicata: fino ad oggi la democrazia si è affermata in occidente nella condivisione di alcune regole fondamentali, codificate in costituzioni, approvate dopo attento e approfondito dibattito tra costituenti..
Quell’aura di solennità e di confronto acceso che ha caratterizzato i lavori dell’assemblea costituente e che ha garantito negli anni la stabilità del paese, si è andata via via perdendo: il tentativo, due volte fallito dai governi di Berlusconi e Renzi, di una generale modifica della Costituzione a colpi di maggioranza, ha fatto ripiegare su ritocchi senza prospettive e forieri di complicazioni e difficoltà istituzionali, basti pensare al taglio dei parlamentari come intervento più recente al di fuori di una logica complessiva di riforme.
Diventa sempre più evidente che affidare il futuro al solo rispetto delle regole non è più sufficiente. Abbiamo visto di recente, anche nel nostro paese, che è possibile l’insediamento di governi privi di una adeguata visione della realtà che non sia le demonizzazione degli avversari.
La politica così non è più la ricerca del bene comune di un popolo, di una nazione, ma un conflitto infinito tra nemici o addirittura tra il bene e il male con l’ovvia conseguenza che ciascuna delle parti in gioco si attribuisce la parte del bene.
Nell’articolo citato Magatti afferma che “serve un pensiero politico nuovo” che sappia farsi carico anche della complessa situazione internazionale in forte mutamento: la globalizzazione richiede cambiamenti nelle politiche economiche (su cui è intervenuto più volte lo stesso papa Francesco) e nuovi assetti negli ordinamenti internazionali oggi assolutamente inadeguati (basti pensare all’impotenza dell’ONU nei conflitti o agli sbandamenti dell’OMS nella pandemia).
Magatti ritiene che non si possa affrontare questa situazione “senza un soprassalto spirituale nel senso pieno e alto del termine”.
Una provocazione interessante, alla quale tuttavia possiamo aggiungere che all’occidente in crisi manca proprio il contributo di quello che l’ha fatto esistere, il contributo della fede cristiana che ha animato uomini e donne delle istituzioni e della società per costruire il bene comune e che oggi, un po’ intimoriti un po’ vilipesi, sembrano aver abdicato al compito di essere anima e spirito critico di ogni processo che voglia essere pienamente democratico.
”Laddove il morale e il religioso vengono ricacciati nell’esclusivamente privato, vengono a mancare le forze che sole possono formare una comunità e tenerla insieme”, così Ratzinger in un intervento all’Università Cattolica già nel lontano 1992 allertava gli spiriti critici sulla deriva ormai avviata dall’Europa.
Un avvertimento più volte da lui ripreso anche dopo essere salito al soglio di Pietrocome nei discorsi ai parlamenti di Germania e Inghilterra.
La questione che si pone oggi in un contesto mondiale in subbuglio è se possa darsi una democrazia semplicemente fondata su fattori esterni come il criterio della maggioranza o essa abbia bisogno di un di più di significato, di essere fondata su valori diffusamente riconosciuti e rispettati.
“E’ vero che lo Stato come tale non è una fonte di verità e quindi non può imporre nessuna determinata visione del mondo o religione: esso deve garantire libertà di religione e di pensiero [ecco qui la differenza radicale con i paesi non occidentali in cui queste libertà sono assolutamente negate-nota mia]. Ma se se ne trae come conseguenza la totale neutralità morale e religiosa dello Stato, allora si canonizza il potere del più forte: la maggioranza diventa l’unica fonte del diritto, la statistica il legislatore”. (Ratzinger 1992)
Si può capire da qui il grave compito che grava sui cristiani oggi in Europa, e in generale nell’occidente che fu cristiano: “il lavoro giornaliero diviene continuamente la provocazione ad entrare nel dibattito culturale del nostro tempo ed a cercarvi una propria collocazione a partire dalla fede”. (id.)
Nella speranza che sorga preso di nuovo in Europa una generazione che rinnovi “l’ora gloriosa degli uomini politici cristiani” quelli che, dopo la follia anticristiana che portò alla guerra mondiale alle distruzioni e alla Shoah, misero le fondamenta di una costruzione europea di cui, purtroppo, si stanno perdendo le tracce.