Che farsene del cristianesimo?

«Se si volesse parlare chiaro, si dovrebbe cominciare a dire, per prima cosa, che il mondo attuale, o meglio l’Occidente, cioè le nostre società e il nostro modo di vivere e di pensare, la nostra economia tecnologia e politica, non sanno che farsene del cristianesimo».

Parole dure che aprivano un articolo di Alfonso Berardinelli sulla prima pagina de “Il Foglio” di sabato scorso dedicato a recensire un ennesimo libro sul rapporto tra cristianesimo e modernità. Un’affermazione così perentoria che ne richiama una di Dostoevskij: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?»

Entrambe le affermazioni interrogano la presenza cristiana del nostro tempo. A queste si può anche cominciare a rispondere con un’altra provocatoria domanda: ma l’Occidente può veramente conoscere la propria storia, pensare se stesso, progettare il futuro mettendo il cristianesimo tra le gozzaniane “buone cose di pessimo gusto”?

La storia moderna ci ha consegnato diversi tentativi di fare a meno del cristianesimo. Si è cominciato con la rivoluzione francese figlia di quell’età dei lumi che hanno abbagliato un’intera società finendo per generare dispotismo e terrore.

Ci hanno riprovato i totalitarismi del secolo passato che hanno lasciato sul terreno milioni di morti e tentato, senza successo, di cancellare ogni traccia di cristianesimo dalla vita di interi popoli.

Ora, almeno qui in Occidente, in generale il cristianesimo non viene attaccato con violenza ma piuttosto considerato, come dice Berardinelli, qualcosa di sorpassato, inutile, vecchio.

Forse tra le cause di questa situazione c’è anche l’accettazione, da parte di cristiani, di mettere il cristianesimo nell’elenco delle religioni, magari accarezzando affinità meno evidenti di quanto si pensi (vedi i discorsi sulle religioni monoteiste o le religioni del libro).

Ma il cristianesimo non è propriamente una religione: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». (Benedetto XVI, lettera enciclica Deus Caritas est)

Se guardiamo la società dall’alto, per così dire, delle istituzioni e della politica questa affermazione appare anacronistica e non pertinente, rispetto ai temi e alle questioni sul tappeto.

Ma se guardiamo dal basso, o meglio, dal di dentro, la nostra società, scopriamo una visione diversa.

C’è un male di vivere diffuso di cui fanno testo violenze giovanili; c’è la paura indotta dal pandemia che logora relazioni e psicologie; c’è un grande bisogno di senso per poter stare di fronte alla realtà dell’incertezza e del dolore diffusi.

A tutto questo non basta la risposta della crescita del PIL, di una migliore efficienza governativa o una buona ed equilibrata scelta del prossimo presidente della Repubblica.ù

Occorre innanzitutto ricostruire il senso di una comunità civile capace di affrontare con concordia i momenti delicati che attraversiamo sia sul piano sociale, che politico che di rapporti internazionali.

Per questa opera serve una presenza viva di cristiani, non infiniti dibattiti se sia meglio un partito cattolico o la dispersione dei cattolici in diverse aree: «nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale». (Benedetto XVI, lettera enciclica Caritas in Veritate)

Alla provocazione di Berardinelli non trovo di meglio che rispondere con un’affermazione di Ratzinger: «se il cristianesimo diviene rinunciabile, lo Stato non diventa in tal modo più pluralistico e più libero, bensì privo di terreno sotto i piedi».

Rinnovare il terreno della presenza cristiana perché produca nuovi frutti a vantaggio di tutti, mi pare essere la prima urgenza per chi ha a cuore il bene della società.

(Benedetto XVI credit Vatican.Va)

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