Democrazia e rappresentanza

È stato detto che «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora». Prendo punto da questo famoso aforisma di Winston Churchill per riflettere su qualche aspetto della rappresentanza democratica come si sta esercitando in questo tempo.

La prima constatazione è che si stanno moltiplicando i luoghi decisionali sottratti al controllo democratico, a differenza di quanto sta scritto nella Costituzione della Repubblica Italiana: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art.1).

Ci stiamo abituando a pensare l’Unione Europea come un super stato o, quantomeno, come una federazione di stati. Benché questo sia stato l’auspicio dei padri fondatori (anche se in condizioni politiche e soprattutto culturali dell’Europa ben diverse) e lo sia di quanti vogliono oggi più Europa (vedi un recente intervento di Draghi negli USA), questa non è la realtà.

Intanto perché non c’è una Costituzione Europea in cui ci si possa tutti riconoscere, visto anche il fallimento del tentativo di trattato costituzionale tentato nei primi anni del millennio, ma soprattutto perché l’Europa uscita dal Trattato di Maastricht rappresenta non l’evoluzione del progetto originale ma una sua radicale trasformazione.

Confrontiamo quanto afferma ancora la nostra Costituzione all’art. 3 («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese») con il Trattato, le cui basi non sono affatto queste.

Per il Trattato l’obiettivo è «l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza». Comunque lo si consideri questo non è un obbiettivo sufficiente per definire un più alto livello di coinvolgimento dei popoli europei.

Ciononostante la Commissione Europea – organismo non eletto ma nominato dai diversi Paesi – si comporta come un vero e proprio governo, in assenza di un adeguato controllo parlamentare. Il Parlamento Europeo, che pure è cresciuto in consapevolezza del proprio ruolo, è tuttavia un equivoco istituzionale dal momento che i parlamenti nascono quando un popolo si riappropria del potere, si dà una costituzione e vuole essere rappresentato perché questa venga attuata e rispettata.

Inevitabili in questo confuso contesto i problemi che nascono a ripetizione per le decisioni di una Commissione che sembra rispondere assai più alle potenti lobbies che si aggirano nei palazzi di Bruxelles che alle esigenze reali dei popoli europei.

Se guardiamo al nostro Paese le cose non vanno proprio molto meglio. Dopo anni di propaganda contro la cosiddetta “Casta” – termine di successo con cui si identifica la politica ma soprattutto il parlamento e che tanto danno ha fatto fino ad oggi all’Italia – dopo la folle teoria grillina dell’uno vale uno e della conseguente svalutazione del parlamento, anche con la riduzione del numero che ne rallenta i lavori, si è diffuso tra le persone il disinteresse per questa fondamentale istituzione tanto da far venire alla mente un altro cinico aforisma churchilliano «Il miglior argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio».

In realtà non ci si rende abbastanza conto che l’esistenza di un parlamento libero, responsabile e rappresentativo è l’unica condizione perché viva una democrazia reale.

Nella cosiddetta seconda repubblica è diventata un’ossessione la ricerca della stabilità dei governi a scapito della rappresentanza popolare che sola li legittima (pensiamo agli ultimi “salvatori della patria” messi a capo del nostro governo dall’alto).

Da qui nasce il continuo cambiamento di leggi elettorali che disorientano senza risolvere il problema, come è ormai evidente. I tifosi del modello francese (il semipresidenzialismo funzionale per personalità quali De Gaulle o Mitterand ma sempre di meno per i successori) possono vedere oggi cosa significa per una Paese come la Francia, pieno di contraddizioni e problemi, avere un capo dello Stato che ha il potere di un sovrano senza godere neppure del consenso di un terzo del suo popolo.

La penalizzazione del Parlamento apre lo spazio a soggetti diversi. In questi anni sono spesso la magistratura e il sistema dell’informazione a mettere in crisi i governi piuttosto che il dibattito parlamentare, così come sono le potenti forze della finanza internazionale a condizionare fortemente le politiche economiche, e non solo quelle.
Urge ripristinare il primato della politica (del Parlamento in primis) rispetto ad altri poteri più o meno chiari, riscoprendo anche la loro separazione (esecutivo, legislativo, giudiziario) così come li ha previsti la costituzione.

Una sfida enorme alle condizioni attuali che può essere affrontata solo riscoprendo le grandi potenzialità diffuse nel popolo italiano, purché possano liberamente scegliere di dedicarsi alla costruzione del bene comune attraverso il servizio che la politica fa (dovrebbe fare) a tutta la convivenza civile.

Una sfida che chiede anche il cambiamento delle organizzazioni politico/partitiche da centri di potere personali a luoghi di confronto dibattito e decisioni condivise. Con leadership contendibili nell’ambito di un reale confronto democratico e partecipato.

didascalia: Winston Churchill (credit Avvenire)

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