Democrazia in questione

Nelle riflessioni e nel dibattito sul futuro della democrazia (di cui anche noi abbiamo accennato in un recente editoriale) entra con decisione Papa Francesco. Parlando con i giornalisti sul volo di ritorno dal suo recente viaggio a Cipro e in Grecia il Papa, tra l’altro, afferma che: ”la democrazia è un tesoro, un tesoro di civiltà, e va custodito, va custodito, e non solo custodito da una entità superiore, ma custodito tra i Paesi stessi”; che uno dei rischi per la democrazia sono i populismi (notare che rifiuta l’inclinazione della domanda volta fargli fare una critica ai populismi “di destra”: il papa li critica indipendentemente dalla loro matrice ideologica), una cosa molto diversa dai popolarismi “che sono l’espressione dei popoli, libera: il popolo che si fa vedere con la propria identità, con il suo folclore, i suoi valori, la sua arte, e si mantiene. Il populismo è una cosa, il popolarismo un’altra.”

E c’è anche un altro grave pericolo per le democrazie, quello che il Papa chiama “impero, una sorta di governo sopranazionale” che tende ad annacquare le diverse identità. Rispondendo in precedenza a una domanda che riguardava le ormai famose indicazioni sulla comunicazione istituzionale (quelle che prevedevano, ad esempio, di non citare il Natale per non offendere le religioni non cristiane; indicazioni poi ritirate) il Papa aveva indicato anche in alcune scelte dell’Unione Europea la presenza di questo rischio.

“Questo mi fa pensare a una cosa, parlando dell’Unione Europea, che credo sia necessaria: l’Unione Europea deve prendere in mano gli ideali dei Padri fondatori, che erano ideali di unità, di grandezza, e stare attenta a non fare spazio alle colonizzazioni ideologiche. Questo potrebbe arrivare a dividere i Paesi e a far fallire l’Unione Europea. L’Unione Europea deve rispettare ogni Paese come è strutturato dentro. La varietà dei Paesi, e non volere uniformare. Io credo che non lo farà, non era sua intenzione, ma stare attenta, perché a volte vengono e buttano lì progetti come questo e non sanno cosa fare… No, ogni Paese ha la propria peculiarità, ma ogni Paese è aperto agli altri. Unione Europea: sovranità sua, sovranità dei fratelli in un’unità che rispetta la singolarità di ogni Paese. E stare attenti a non essere veicoli di colonizzazioni ideologiche. Per questo, quell’intervento sul Natale è un anacronismo.”

Pure con i limiti di un discorso fatto a braccio mi pare che le osservazioni di Francesco siano di stringente attualità e meritino maggiore attenzione nel dibattito pubblico: non serviva l’infelice uscita sulla comunicazione per evidenziare che dentro l’Unione Europea si annida da tempo una voglia di governo globale che tende a imporsi alla volontà dei diversi popoli. Ne fa fede il conflitto di competenze con le Corti Costituzionali dei diversi paesi (tutti citano quello con la Corte polacca dimenticando quello precedente e forse ancora più importante con quella tedesca), il rifiuto di un aggancio con la tradizione culturale da è nata l’UE, l’eccesso di potere attribuito alle burocrazie europee rispetto al ruolo del Parlamento Europeo che dovrebbe essere quello legittimato a prendere le decisioni per i popoli interessati.

Ma nella risposta del Papa c’è anche un sorprendente riferimento letterario allo scrittore inglese Robert H. Benson:: “Questo signor Benson scrisse un romanzo che si chiama: “The Lord of the Earth” o “The Lord of the World” – ha i due titoli –, che sogna il futuro in un governo internazionale dove, con le misure economiche, le misure politiche, governa tutti gli altri Paesi. E quando si dà questo governo, questo tipo di governi – lui spiega – si perde la libertà e si cerca di fare una uguaglianza tra tutti. Ma questo succede quando c’è una superpotenza che detta i comportamenti culturali, economici e sociali agli altri Paesi. Indebolimento della democrazia, sì, per il pericolo dei populismi – che non sono il popolarismo, questo è bello –, e il pericolo di questi riferimenti a potenze internazionali: riferimenti economici, culturali, quello che sia”.

C’è un passaggio cruciale in queste parole ed è quando si attribuisce al potere l’obbiettivo di fare una uguaglianza fra tutti. E’ su questo snodo che s’infrangono da sempre i tentativi del potere: dalla rivoluzione francese fino a quella sovietica, l’imposizione di un unico modello (ovviamente pensato come il migliore per il popolo) anziché uguaglianza ha generato sempre i mostri del totalitarismo e le sue drammatiche conseguenze.

L’uguaglianza come la giustizia non può essere calata dall’alto di un potere o di un’ideologia, richiede soprattutto un’adeguata concezione della persona e il suo rispetto. L’affievolirsi della presenza cristiana nella società lascia la politica e i popoli privi di un riferimento oggettivo. Così l’utopia prevale sul realismo come già ammoniva il poeta Thomas S. Eliot “ sognano sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”; ma una buona politica non può che nascere da un’adeguata visione dell’uomo.

“Quando la fede cristiana, la fede in una speranza superiore dell’uomo, decade, insorge allora di nuovo il mito dello stato divino, perché l’uomo non può rinunciare alla totalità della speranza”.

“Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici che sono il vero rischio del nostro tempo” (Ratzinger 1981, 1984).

Che non siamo di fronte ad un problema confessionale lo dimostrano le persone che hanno speso realmente la vita per l’uguaglianza, la libertà, la giustizia dei propri popoli. Così possiamo leggere la testimonianza di un cattolico come Teresio Olivelli (“non ci sono liberatori ma solo uomini che si liberano”) come quella dell’agnostico Vaclav Havel, impregnato tuttavia da una sapienza edificata da secoli di cristianesimo: “Oggi più che mai la nascita di un modello economico e politico migliore deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società (…) Non è detto che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore” (V. Havel, Il potere dei senza potere).

Osservazioni che richiamano al protagonismo della gente, delle persone con le diverse concezioni di vita che le caratterizzano, insomma proprio di quel popolo che, anche perché fiaccato dalla pandemia e da suoi irresponsabili cantori, sembra poter smarrire il gusto per una partecipazione democratica sobria e costruttiva.

Condividi:

Related posts