Impensieriti per quanto sta accadendo in Ucraina e in Israele abbiamo distolto lo sguardo da fatti sui quali dovremmo essere più vigili.
Se da troppo tempo il dibattito pubblico è monopolizzato da temi come aborto, eutanasia, fecondazione eterologa, omogenitorialità, depenalizzazione dell’uso di stupefacenti, accoglienza indiscriminata, mondo green etc. etc., ritenuti “diritti umani” da una minoranza chiassosa e spesso insolente, è ora arrivato il momento di spostare il baricentro della discussione sui veri diritti della persona come quello, per esempio, della proprietà.
Godere appieno di un bene di cui si è legittimi proprietari è un diritto, quello, sì, reale della persona, la quale deve poterne usufruire in modo esclusivo. La libertà individuale è strettamente connessa alla proprietà della casa, degli strumenti di lavoro, dei mezzi di locomozione.
Il movimento per la decrescita felice – strettamente legato al mondo degli ambientalisti sostenuto dall’ex presidente Usa, Barak Obama, insieme ad alcuni attori hollywoodiani, a Greta Thunberg e al nostro Beppe Grillo –, al primo punto del suo manifesto costitutivo, contempla «il cambiamento di paradigma culturale, diverso sistema di valori, diversa concezione del mondo, alternativa radicale al sistema di valori della crescita illimitata». Riassunto in quattro parole: vivere meglio consumando meno.
Allora si comprende perché venga incentivato il noleggio e non più l’acquisto dell’automobile. L’automobilista non dovrà più essere proprietario del mezzo, ma un perenne cliente dei costruttori d’auto. Con la sorpresa che, allo scadere del noleggio, se si vorrà continuare a guidare una vettura, si dovrà rinnovare il contratto, magari con costi maggiorati.
La direttiva “case green” con cui l’Unione europea intende raggiungere le emissioni zero entro il 2050 (per ora scongiurata) è un vero e proprio attacco ai proprietari di casa. Indotte le opinioni pubbliche a credere che l’obiettivo fosse la riqualificazione del parco immobiliare europeo – attraverso anche il miglioramento dell’efficienza energetica –, si mirava invece alla sua svalutazione per consentire a pochi fondi speculativi di impossessarsene trasformando così i proprietari in affittuari.
Dice nulla la massiccia campagna pubblicitaria, in atto sui principali media italiani, per convincere i proprietari di casa anziani a cedere la nuda proprietà delle loro abitazioni?
Anche la sfrenata corsa al digitale accelera la decomposizione del tessuto sociale, per altro già in atto con la diffusione di ideologie avulse da qualsiasi riferimento ai valori trascendentali.
Sotto questo profilo è emblematico quanto sta accadendo nel mondo bancario. Infatti l’uso della moneta elettronica e il ritiro del denaro circolante tendono ad impoverire il cittadino fino a schiavizzarlo.
Il giorno in cui non ci sarà più carta moneta, chi avrà il potere di bloccare il conto corrente deciderà della vita delle persone. Nessun allarme per il trasferimento d’ufficio di milioni di conti correnti di Intesa San Paolo alla propria banca digitale isybank?
È un pessimo segnale lo sforzo che le banche (come le aziende di altri settori merceologici) stanno compiendo per informatizzarsi. Se l’uso delle nuove tecnologie è utile per snellire il lavoro all’interno dell’impresa, diventa pernicioso se lo s’impone alla clientela. Eliminando il contatto tra i correntisti/utenti e gli impiegati agli sportelli si affievoliscono i rapporti umani e si isolano sempre più le persone, alimentando la piaga della solitudine generatrice di tanti drammi.
Tutto ciò, si badi bene, è ordinato ad un processo che ha una sua logica. In fondo le concentrazioni bancarie, come quelle di altre holding o multinazionali, rispondono all’esigenza di metter nelle mani di pochi il potere reale, quello di decidere il destino di miliardi di uomini.
Così, sbarazzandosi delle banche del territorio e costruendo un sistema di pochi grandi gruppi finanziari sarà più semplice per questi dialogare con i propri simili, vale a dire trust, abbandonando al loro destino una moltitudine di correntisti come artigiani, piccoli imprenditori, commercianti, pensionati, semplici lavoratori e su su fino ai professionisti. Insomma è uno di quei passaggi per realizzare quel mondo della decrescita felice cui si accennava sopra e al quale le persone di buon senso devono oggi porre un freno.
Per non restare nel vago guardiamo a ciò che accade in Valtellina dove fino a poco tempo fa l’economia della valle era supportata da due banche del territorio.
Una, il Credito Valtellinese è finita nelle mani di un colosso francese e l’altra, Popolare di Sondrio, probabilmente confluirà in un istituto destinato a diventare un grande polo. Domanda: valtellinesi e chiavennaschi fino a quando potranno andare nelle filiali della loro banca a farsi supportare dagli impiegati e soprattutto troveranno ancora finanziamenti per le loro attività?