La crisi israelo-palestinese è stato uno dei principali argomenti del dialogo tra il Pontefice e la Presidente della Commissione Europea. Il Santo Padre ha ricevuto in Vaticano Ursula Von der Leyen, che successivamente ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.
Nel cordialissimo colloquio tra il Vescovo di Roma e la Leader europea sono state affrontate alcune questioni di comune interesse, quali le conseguenze sociali della pandemia, le migrazioni e i cambiamenti climatici, nonché i recenti sviluppi in Medio Oriente. Inoltre, è stato fatto riferimento ai buoni rapporti bilaterali, ulteriormente sviluppatisi grazie al dialogo e iniziative in corso per la ricorrenza del 50° anniversario della sottoscrizione degli accordi per la regolamentazione delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Unione Europea.
Non è sfuggito all’ occhio attento degli osservatori internazionali la cura con cui la Santa Sede ha fatto circolare le immagini del colloquio e, nello specifico, il momento in cui un cerimoniere vaticano ha accompagnato, come si usa correttamente nel galateo, la sedia della Presidente Von der Leyen mentre si stava per sedere al tavolo del colloquio di fronte al Santo Padre.
Se i simbolismi hanno un valore e si vogliono osservare senza il becero servilismo ideologico siamo stati testimoni del necessario, per dirla alla romana maniera “pesce in faccia” al dittatore turco che non aveva rispettato sia il ruolo sia il genere della leader europea in occasione della sua recente visita a Istanbul.
Al momento dello scambio dei doni, Ursula Von der Leyen è stata poi riverita come un capo di stato. Lei ha consegnato Papa Francesco una copia della dichiarazione Schuman del 1950 e una edizione in due volumi della Storia dell’Unione Europea. Il Papa ha ricambiato con i documenti del suo pontificato insieme al Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace e il Documento sulla Fratellanza Umana, siglato ad Abu Dhabi nel 2019 (altro aspetto simbolico fondamentale). Infine, la Presidente ha anche ricevuto in dono il medaglione di bronzo che ricorda le parole del profeta Isaia al capitolo 32: “Il deserto diventerà un giardino”.
Va sottolineato che già nell’ Agosto 2019, poco dopo la designazione di Von der Leyen alla carica di presidente della Commissione europea, il Santo Padre si era detto contento della nomina perché “una donna può essere adatta a ravvivare la forza dei Padri Fondatori. Le donne hanno la capacità di accomunare, di unire”.
Va subito messo in risalto che il 16 Maggio, dopo la notizia della visita imminente della Leader europea a Roma, il presidente turco aveva telefonato al Papa per dare visibilità alla sua posizione sul conflitto tra Israele e i territori di Gaza. Come previsto la propaganda turca aveva fatto trapelare che il governo del paese sostiene la posizione di Hamas e chiedeva anche alla Santa Sede di adoperarsi per porre fine alla reazione israeliana agli attacchi di razzi provenienti dai territori palestinesi.
La Santa Sede “sempre” chiede l’immediata sospensione di ogni conflitto e quindi appare quanto meno strana la richiesta soprattutto da un paese che negli ultimi anni è stato motore e autore di guerre e repressioni sanguinarie. “La Turchia sostiene il processo di pace e rimane a fianco dei palestinesi” è stato comunque indicato nel comunicato stampa turco.
Certamente se Hamas, che è considerata un’organizzazione terroristica dall’ Unione Europea, aveva in magazzino migliaia di razzi da lanciare verso Israele alla fine del Sacro Ramadan non si può pensare che li avesse stivati per “difesa”. Probabilmente si era organizzata per attaccare da tempo e aspettava il più classico dei “casus belli”. Se Ankara continua a sostenere Hamas nella realizzazione di razzi e droni, la pace in Medio Oriente è purtroppo lontana.
Certamente Hamas sperava di avere maggiore supporto dal mondo arabo ma moltissimi analisti vedono tale ridottissimo supporto come conseguenza degli “Accordi di Abramo”. Tali accordi, criticati dalla Turchia, sono il più grande successo diplomatico del Presidente Trump che in questo specifico aspetto è riuscito ad essere il più diverso possibile da Obama. Infatti, in modi differenti, entrambi i presidenti hanno tentato, senza successo Obama, di ridurre gli impegni dell’America nella regione e solo ora si vedono i frutti dell’azione, solo diplomatica, di Trump.
Il Presidente cattolico Biden probabilmente ha un simile obiettivo ma ha comunque fatto trapelare che la gestione dell’attuale violenza tra israeliani e territori controllati da Hamas, la peggiore dal 2014, è un primo test per il successo della sua politica nell’area.
Nelle prime settimane della sua presidenza Biden ha nuovamente inviato in Palestina i 250 milioni di dollari di aiuti che il suo predecessore aveva tagliato, ha promesso di riaprire il consolato americano de facto per i palestinesi a Gerusalemme e ha ribadito il suo sostegno a uno stato palestinese. Tuttavia, parrebbe che Biden condivida l’opinione secondo cui nessuna risoluzione è possibile con le leadership israeliana e palestinese attuali.
Il Segretario di Stato, John Kerry sta per effettuare, comunque, una visita diplomatica nell’ area anche se Biden, coerentemente e quanto appena citato, avrebbe deciso, al momento, di essere il primo presidente a non lanciare un’iniziativa di pace in Medio Oriente dai tempi di Gerald Ford. A Washington i suoi non estimatori scrivono che: “Non è interessato a un premio Nobel”.
Questo atteggiamento potrebbe aiutare a spiegare la lentezza dell’amministrazione nel rispondere alle tensioni a Gerusalemme est in questo mese e perché’ il consigliere per la sicurezza nazionale ha impiegato quasi tre giorni per discutere l’escalation del conflitto con la sua controparte israeliana.
Questa potrebbe essere vista anche come una strategia a sostegno dello status quo, come è appunto emerso nella delicata gestione dei rapporti con il governo di Tel Aviv da parte dell’amministrazione USA dopo che ha reagito ai razzi di Hamas con azioni difensive su Gaza.
Democratici di sinistra americani hanno esortato il Presidente Biden a chiedere al primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu un cessate il fuoco ma nulla si è messo in moto al Consiglio di sicurezza dell’ONU e Biden ha confermanto l’impegno di lunga data per la sicurezza dello Stato ebraico. Parimenti a Washington c’è forse chi pensa che la stabilità del Medio Oriente è determinata molto più dalle circostanze locali che dall’azione americana. Quanto precede potrebbe configurare un approccio “non impegnativo” di Biden e questo potrebbe tenerlo in futuro sulle spine.
In conclusione, non c’è bisogno di chiedere al Santo Padre un impegno per sostenere la ricerca della “Pace” dove ci sono conflitti e , invece, c’è bisogno di un intervento obiettivo ed equidistante sia Europeo sia Americano nel Medio Oriente affiche’ non cadano ancora nel vuoto le parole del profeta Isaia al capitolo 32 e: “Il deserto diventi un giardino”. (Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation)