Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation. La Professoressa Michela Mercuri, senza dubbio alcuno, una dei più qualificati esperti di Libia, ha dichiarato nei giorni scorsi che: “ Come era prevedibile, anche se non ancora certo al 100 %, non si possono fare elezioni per stabilizzare un paese ma bisogna prima stabilizzare il paese poi fare elezioni”.
Per capire in modo chiaro il perché di questa situazione a ridosso del 24 dicembre , data indicata come quella delle elezioni bisogna capire cosa sta succedendo nella nostra ex-colonia sulla costa nordafricana. Il 24 dicembre, in Libia si sarebbe dovuto tenere il primo turno delle elezioni presidenziali, il primo passo nel tentativo di restituire finalmente legittimità a istituzioni che sono state a lungo non rappresentative del volere del popolo libico.
Al momento, confusione e incertezza circondano le elezioni stesse perché’ ci sono aspre divisioni sulla legge elettorale. Alcuni dei candidati più importanti sono figure profondamente controverse e non ci sono garanzie che saranno rispettati/onorati i risultati delle urne. Non è chiaro se i preparativi tecnici e la sicurezza siano in atto. Anche la missione della Nazioni Unite, ritenuta un serbatoio di stabilità, ha visto il suo leader, Jan Kubis, improvvisamente dimettersi e un ex funzionario USA e ONU, Stephanie Williams, essere richiamata in servizio per prenderne le mansioni.
A oggi, la commissione elettorale libica ha fatto sapere che non pubblicherà un elenco di candidati presidenziali fino a quando non avrà risolto alcune questioni legali, non lasciando, quindi, il tempo per effettuare le operazioni di voto, come previsto, il 24 dicembre.
Un portavoce della Commissione ha affermato sabato scorso : “Data la sensibilità di questa fase e le circostanze politiche e di sicurezza che la circondano, la commissione desidera esaurire tutti i contenziosi per garantire che le sue decisioni siano conformi alle sentenze emesse”.
Mentre la maggior parte delle parti sia libiche sia straniere coinvolte nel processo hanno continuato a chiedere pubblicamente che le elezioni si svolgano nei tempi previsti, politici, analisti e diplomatici hanno tutti convenuto, anche non pubblicamente, sul fatto che sarebbe molto difficile votare quando ipotizzato.
Ritardi significativi potrebbero aumentare il rischio di far deragliare il più ampio processo di pace in Libia, sebbene anche un’elezione contestata condotta senza un chiaro accordo su regole o candidati ammissibili rappresenterebbe un pericolo immediato per la già precaria stabilità del paese.
A meno di dieci giorni dal voto, non rimarrebbe quasi tempo per pubblicare la lista definitiva dei quasi cento candidati che si sono iscritti alla campagna elettorale in tutta la Libia, dando un enorme vantaggio a coloro che sono già ben noti nell’intero paese.
Le controversie sulle regole fondamentali che disciplinano le elezioni sono proseguite durante tutto il processo organizzativo, compreso il calendario delle votazioni, sia sull’ammissibilità dei principali candidati sia su gli eventuali poteri del prossimo presidente e del parlamento.
Secondo Anas Gomati, direttore del Sadeq Institute, di Tripoli: “La controversia giudiziaria e politica sull’ammissibilità dei candidati è la ragione alla base del motivo per cui gli organismi internazionali non spingono più per il 24 dicembre” ed ha aggiunto:” La realtà è che questa è la cima dell’iceberg “ e che “La legge elettorale approvata illegalmente, il vuoto costituzionale per determinare il potere del presidente e le condizioni di sicurezza sul campo non sono solo ostacoli elettorali, ma faranno deragliare la transizione pacifica e democratica della Libia”.
Senza un quadro giuridico comunemente accettato, non era chiaro fino a che punto le regole sarebbero state basate sul piano sostenuto dalle Nazioni Unite che originariamente richiedeva le elezioni o su una legge emessa dal presidente del parlamento a settembre ma respinta da alcune fazioni sul territorio.
Il processo di pronuncia sull’eleggibilità dei candidati ha messo a nudo le principali vulnerabilità nel processo stesso. La commissione ha inizialmente escluso 25 candidati e ha fissato un termine di circa due settimane per i ricorsi giudiziari. Ha anche sollevato perplessità la candidatura di Saif al-Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader Muammar Gheddafi, e del comandante delle forze di opposizione al governo riconosciuto, schierate nei territori ad est della Libia, Khalifa Haftar, poiché entrambi sono stati accusati di crimini di guerra.
Le fazioni rivali si sono accusate a vicenda di intimidire o corrompere funzionari giudiziari e amministrativi per influenzare l’elenco finale dei candidati e con i gruppi armati che controllano il terreno in tutta la Libia, qualsiasi elezione condotta senza un forte monitoraggio internazionale sarebbe soggetta ad accuse di frode.
La commissione elettorale ha affermato di essere in comunicazione con il Consiglio giudiziario supremo e con una commissione parlamentare e che adotterà procedure basate su tali conversazioni prima di procedere con il processo elettorale.
Alcune fazioni hanno avvertito che un mancato ritardo nel voto potrebbe spingerle a ritirarsi dal più ampio processo politico o far loro perdere potere. Infatti, nelle scorse ore alcune milizie che hanno messo “sotto assedio” il governo riconosciuto internazionalmente di Abdelhamid Dbeibah e , in particolare , i miliziani si sono schierati attorno ai palazzi del potere, la sede del primo ministro, del Consiglio presidenziale, del ministero della Difesa.
Quindi ormai è chiaro che questi miliziani vicini ai Fratelli Musulmani, hanno deciso di bloccare il processo democratico perché’ ritengono che le elezioni presidenziali avrebbero ridimensionato il loro ruolo nel gioco libico e la “scusa” per tale azione è che mercoledì è stato deposto un generale in buone relazioni con queste milizie, dalla guida dell’esercito nella regione di Tripoli. Le milizie ribelli sono sia la “Nawasi” guidata dal potente Mustafa Ibrahim Gaddur sia la milizia “Ghneiwa”, comandata da Abdel Ghani al-Kikli.
A loro si potrebbero affiancare altre variegate milizie locali sempre con lo scopo di non perdere il potere areale di ciascuna di esse, potere che temono possa passare a chi affianca l’esercito turco che in sfregio a tutte le regole internazionale continua a essere presente in Libia e a influenzarne la fragile organizzazione statale per mezzo sia di truppe regolari sia di miliziani ( molti ex combattenti ISIS).
C’è la certezza che il nuovo comandante della regione di Tripoli sia un uomo “ filo turco” che ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo libico sia dopo le elezioni sia trovando il modo di non farle proprio effettuare anche dopo che i comandanti di “Ghneiwa ” e “Nawasi” avranno attivato una sorta di negoziazione sul futuro immediato.
Per capire cosa succederà non bisognerà aspettare molto e per avere un’idea precisa di cosa è avvenuto in Libia nell’ultimo secolo è bene leggere un libro appena edito da il Mulino “Le guerre in Libia” dove Stefano Marcuzzi e Gastone Breccia ripercorrono la storia politica e militare della Libia nell’ultimo secolo.
In conclusione, prendendo spunto dall’introduzione del libro di Marcuzzi e Breccia, ancora una volta, se come pare ormai certo le elezioni non si terranno il giorno della vigilia del Santo Natale, la Libia si è dimostrata quel lembo di terra : “ Dove tutto si nuove e nulla cambia”.