L’ Italia affonda e Mario è sempre meno super

«Siamo divisi militarmente, siamo divisi politicamente, abbiamo di fronte a noi solo un’unità economica e di conseguenza quando succedono grandi incidenti non si riesce a fare molto. Il coltello dalla parte del manico oggi ce l’ha Putin.

Le reazioni dell’Europa, non per cattiveria, non per mancanza di volontà, ma non potranno mai essere sufficienti, se parametrate a quello che sta facendo la Russia.

E sfortunatamente, se di fronte ai grandi problemi del mondo non si è uniti, allineati cioè anche nella difesa degli interessi strategici, le democrazie liberali rischiano di fare un passo indietro e rischiano di osservare in modo passivo i passi in avanti delle democrazie illiberali. (…)

Penso a cosa potrebbe significare per le democrazie liberali l’avvicinamento progressivo tra due Paesi come la Russia e la Cina. Quando, ai miei tempi, lavorai all’allargamento dell’Unione europea, da presidente della Commissione, Putin mi disse che per lui l’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, dal punto di vista economico, non era un problema. La sua ossessione era la Nato. Lo ripeteva sempre». Questa è la dichiarazione che Romano Prodi ha rilasciato pochi giorni fa al quotidiano online Huffpost.

Tenuto conto che Prodi ha presieduto la Commissione europea dal 1999 al 2004 se ne deduce che da almeno vent’anni la questione della presenza Nato in Ucraina costituiva un problema serio per il Presidente della Russia. Di più: quando l’attuale presidente statunitense, Joe Biden, era senatore del Delaware pronunciò un discorso al Consiglio Atlantico – era il 20 Giugno 1997 – in cui profetizzò che «annettere alla Nato gli Stati Baltici sarebbe l’unica mossa che rischierebbe di provocare una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia e spostare gli equilibri tra Russia e Usa».

Sette anni dopo, nel 2004, entreranno nella Nato Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Bulgaria. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca ne facevano parte già dal 1999.

Alla luce di quanto già sapevano Prodi e Biden (ma con loro gli interi vertici dei Paesi aderenti alla Nato), possibile essere arrivati al punto di scatenare una guerra in Ucraina?

Alla riunione di condominio quando il proprietario dell’ultimo piano denuncia che ha infiltrazioni dal soffitto, i condomini dei piani sottostanti deliberano velocemente di sistemare il tetto senza aspettare che l’acqua arrivi nei loro appartamenti. Parliamo di persone comuni, non di “potenti” che governano il pianeta.

Ma in che mani siamo? Quanti innocenti devono morire, come ha ricordato Papa Francesco, per l’insipienza di chi ha il potere di scatenare le guerre?

La Nato non è il braccio armato degli Stati Uniti. Se il fratello maggiore (Biden) sbaglia, anche l’ultimo, il fratellino più piccolo (Draghi), ha il dovere di dire la sua per correggerlo fraternamente.

Il nostro Primo Ministro che fa, invece? Si schiera incondizionatamente con il Presidente Usa quasi ne volesse carpire la benevolenza per chissà quali future benemerenze o incarichi. Germania e Francia, a modo loro, si defilano per proteggere le loro economie e l’Italia, grazie a Draghi, va a schiantarsi con sanzioni che si ritorcono contro sé stessa.

“Armiamoci e prepariamoci alla terza guerra mondiale” è il messaggio ossessivo che i “giornaloni” continuano a lanciare dalle loro pagine, secondo la collaudata formula del “ripetetela fino alla nausea e anche una bugia diventerà verità”.

Peccato che gli stessi “giornaloni” non abbiano colto il messaggio del Pontefice, chiaramente ostile all’aumento delle spese militari e ancor più il suo appello a cessare tutte le guerre.

Non è il primo Papa a sollevarsi contro i conflitti armati che generano solo morte, carestia e distruzione morale. San Giovanni Paolo II si schierò contro la guerra in Iraq (e con lui, unico politico italiano, Roberto Formigoni), ma non fu ascoltato. Oggi sappiamo come è finita quella vicenda che ha generato forme di terrorismo da cui tuttora dobbiamo guardarci.

Noi italiani abbiamo tante virtù, ma poca memoria. Oltre all’Iraq, come sono finite le guerre in Libia, Siria e Afganistan?

Con l’acume che lo contraddistingue, il professor Giulio Tremonti sostiene che «non è la guerra in Ucraina che ha posto fine alla globalizzazione, ma è il termine della globalizzazione che ha portato la guerra».

Difendendo i propri confini l’Ucraina esalta il nazionalismo e conferma che esistono gli Stati. Uno splendido autogol per il disegno globalista. Oltre al territorio del Donbas nella contesa Russia-Usa ci sono in ballo anche dei valori su cui si fonda una civiltà. Ne riparleremo.

(crediti fotografici Foto di Нонна Смелова da Pixabay)

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