La Repubblica italiana come ideologia

Riprendiamo l’articolo “Repubblica italiana come ideologia” a firma del giornalista Stefano Fontana, pubblicato oggi, mercoledì 2 Giugno, sul “Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan sulla dottrina sociale della Chiesa” che ringraziamo per la gentile concessione.

«Vista attraverso lo spettro realistico della Dottrina sociale della Chiesa, la Repubblica italiana che si festeggia oggi 2 Giugno ha tutto l’aspetto di una ideologia più che di una realtà. Per questo, nonostante le Frecce Tricolori che rombano nei cieli e la vacanza che permette a molti di andare al mare, la nostra Repubblica è cosa fragile, tolta la retorica politica. Prenderne coscienza può essere un buon servizio agli italiani.

I tratti della sua stessa origine si confondono nell’incertezza. La storiografia ha taciuto su molte cose, ci è stato raccontato un copione confezionato, sono stati creati molti miti utili politicamente: dal “fascismo male assoluto” fino alla democraticità del comunismo, e la Resistenza è stata un fenomeno sfaccettato, glorioso e inglorioso insieme. La scuola di Stato è ancora il principale veicolo di queste interpretazioni, comprese le loro versioni più aggiornate. Perfino il disegno di legge Zan pretende di rappresentare lo spirito della Resistenza, l’ANSPI lo appoggia e chi la pensa diversamente sulla naturalità del genere maschile e femminile è ancora chiamato “fascista”.

La forza della nostra Repubblica nasce sulla sua debolezza, che risulta evidente già nel testo della nostra Costituzione.

La debolezza consiste nel non fare riferimento a nessun  fondamento veramente consistente al di là delle maggioranze parlamentari: non al diritto naturale e, naturalmente, non a Dio.

La Costituzione dice che lo Stato “riconosce” i diritti del cittadino enunciati nei primi articoli, ma le sentenze della Corte costituzionale hanno chiarito che “riconosce” non vuol dire che li trova in un ordine oggettivo ma che ne prende atto in quanto vissuti e condivisi dai cittadini.

La mancanza di un fondamento solido, una volta svanito col tempo il patrimonio religioso e di morale naturale del popolo italiano – del quale la stessa Costituzione repubblicana è stata il maggiore artefice – ha trasformato l’Italia in una Repubblica procedurale, al punto che, nel rispetto delle debite procedure, sono state introdotte leggi perfino in contrasto con la Costituzione, oltre che, naturalmente con il diritto naturale e divino. La legge Cirinnà e ora il ddl Zan ne sono esempi evidenti, recenti e, purtroppo, non ultimi. Una Repubblica procedurale è (fortissimamente) debole perché quanto stabilisce oggi lo può cambiare domani e il cittadino viene privato delle elementari sicurezze e tutele. Ma proprio per questo è anche (debolmente) fortissima perché può fare quello che vuole, basta seguire le procedure che, comunque, possono pure esse essere cambiate seguendo le procedure. Ogni sistema di Repubblica ideologica, infatti, predispone una procedura per cambiare la procedura.

Nel corso dei decenni da quel lontano 2 giugno del 1946 la Repubblica italiana si è sempre più indebolita e le verità da essa proposte e sulle quali dice di fondarsi si sono rivelate ormai fragilissime e sostenute quasi solo dalla retorica condivisa degli apparati.

Proprio per lo stesso motivo, tuttavia, è diventata molto più impositiva, disciplinante, invasiva e pervasiva. Usa la scuola pubblica per indottrinare, ci dice cosa sia il nostro corpo e come lo dobbiamo trattare, vaccina tutti stabilendo essa il perché, obbliga a transizioni ecologiche e digitali dai piani strumentali. Perfino il voto alle elezioni, che in una Repubblica procedurale dovrebbe essere tenuto in grande considerazione, è diventato merce rara.

Quella italiana sostiene di essere una Repubblica nata dalla libertà, ma ci accorgiamo che proprio la libertà stiamo perdendo in questa Repubblica ideologica. La famiglia è un ambito di libertà, che tuttavia viene sempre più ridotto. La comunità locale o di appartenenza è luogo di libertà ma la sussidiarietà è un principio sconosciuto alla Repubblica ideologica.

La proprietà e il lavoro sono strumenti di libertà, ma il controllo centralistico sugli strumenti economici aumenta e durante il lockdown nessuno, nemmeno i sindacati ormai desaparecidos, hanno ricordato cosa dice il primo articolo della Costituzione: un dettato il suo – “Italia è una repubblica fondata sul lavoro” – piuttosto oscuro e vagamente interpretabile, ma comunque da rispettare almeno da parte dei fedeli repubblicani. La tecnologia dovrebbe essere strumento di libertà ma la società della sorveglianza aumenta. La religione cattolica è un modo (il modo, per i credenti) di essere liberi, ma il suo vilipendio è all’ordine del giorno nella nostra Repubblica laicamente ideologica ed è possibile bestemmiare anche nella tv di Stato mentre i governi ordinano di chiudere le chiese per il contagio.

La libertà della nostra Repubblica – si dice – è nata in Europa, ma la sua partecipazione all’Unione europea vuol spesso dire importazione forzata di visioni sbagliate e vincolanti.

La Repubblica italiana è stato ed è un progetto, un progetto per cambiare gli italiani, per modernizzarli secondo i principi delle ideologie dominanti nella modernità, per questo può essere detta una Repubblica ideologica. Non si fonda sulla realtà della società italiana, sui suoi finalismi naturali, sulle sue caratteristiche fisiologiche recepite dal basso e fatte proprie dall’alto, ma vuole intervenire con forme di ingegneria sociale e politica per riplasmare tutto ciò secondo una idea. Naturalmente, essendo essa una Repubblica procedurale, si fonda sul consenso … dopo averlo creato artificialmente.»

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