Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation. Il presidente russo Vladimir Putin è arrivato oggi (martedì 19 Luglio) a Teheran prima dei colloqui con i suoi omologhi iraniani e turchi su questioni chiave che interessano la regione.
Il presidente iraniano Raisi e il presidente turco Erdogan discuteranno con lui del conflitto in corso in Siria e della proposta, sostenuta dalle Nazioni Unite, volta a consentire l’esportazione di grano dai porti ucraini bloccati dal conflitto tra cui quello principale di Odessa, minato a scopo difensivo dagli ucraini stessi.
I due poteri regionali e la Turchia hanno un rapporto complesso di interessi condivisi e contrasti. I colloqui marcano il secondo viaggio di Putin fuori dalla Russia dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina iniziata il 24 febbraio e il primo incontro diretto con un leader di un paese membro dell’Alleanza Atlantica.
I colloqui si svolgono anche pochi giorni dopo che il Presidente degli Stati Uniti Biden ha visitato i principali alleati di Washington nella regione: Arabia Saudita e Israele, nonché i territori palestinesi.
In vista dei colloqui trilaterali, il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ha messo in guardia Erdogan contro ulteriori aggressioni allo stato della Siria e alla comunita sciita nella regione.
Sia l’Iran sia la Russia sostengono il governo del presidente Bashar Assad, mentre la Turchia ha appoggiato apertamente sia politicamente sia materialmente alcuni gruppi antigovernativi nel paese.
“Mantenere l’integrità territoriale della Siria è molto importante e qualsiasi attacco militare nel nord della Siria danneggerà sicuramente la Turchia, la Siria e l’intera regione e andrà a beneficio dei terroristi”, ha fatto sapere in modo chiaro Khamenei a Erdogan.
La Turchia ha minacciato di lanciare un’operazione militare nel nord della Siria, in particolare nelle regioni controllate da gruppi curdi, per estendere una cosiddetta “zona sicura”. L’operazione in pretesa chiave di sicurezza anti – curda è stata sostenuta anche dall’azione diplomatica di Ankara che per avere una sorta di autorizzazione ad avere le “mani libere” contro l’etnia curda ha messo questo come condizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO.
In pratica ha sfruttato la tragedia della guerra in Ucraina per avere un vantaggio strategico nella regione. Vedremo nei prossimi mesi se i curdi saranno anche loro vittime secondarie dell’aggressine di Mosca a Kiev.
Ankara si è trovata anche dalla parte opposta di Mosca nei conflitti in Azerbaigian e Libia, e ha persino venduto droni all’Ucraina dopo aver comprato, però, sistemi missilistici antiaerei russi (doppiogiochismo evidente). Inoltre, nel suo ruolo di membro della NATO che non ha imposto sanzioni rende la Turchia un partner che appare oggi necessario per la Russia perché’, come detto, ha anche dimostrato di essere una spina nel fianco della NATO nel non accettare rapidamente l’allargamento.
Iran e Russia si trovano al momento “sulla stessa barca” di fronte alle sanzioni economiche che hanno avevano già messo a dura prova l’Iran. Quanto precede nonostante che i due paesi sono anche concorrenti economici quali tra i principali esportatori di petrolio e gas mondiali.
Ciò è diventato ancora più chiaro dopo che la Russia ha concentrato la sua attenzione sulle esportazioni verso la Cina Popolare a seguito delle sanzioni occidentali. Pechino, è stata e sarà probabilmente in futuro, un mercato chiave per l’energia iraniana.
Allo stesso tempo, l’Iran sta anche contrapponendosi a un blocco regionale sempre più coeso composto dagli stati arabi di religione sunnita del Golfo e da Israele il cui quasi unico interesse condiviso è contrastare l’influenza e il programma dell’Iran.
L’Iran spera probabilmente di fare pressione sugli Stati Uniti affinché accettino concessioni per rilanciare l’accordo nucleare del 2015 grazie all’aumento del prezzo dell’energia che è stato messo in discussione dal ritiro unilaterale di Washington durante la presidenza Trump nel 2018. Successive sanzioni hanno paralizzato l’economia iraniana e ora l’Iran spera in una conferma di debolezza americano dopo i fallimenti in Afghanistan e, per ora, in Ucraina.
Comunque, poco prima dell’arrivo di Putin, la National Iranian Oil Company (NIOC) e il colosso statale russo del gas Gazprom hanno firmato un accordo del valore di 40 miliardi di dollari (39 miliardi di euro) per sviluppare possibili cooperazioni.
Per quanto riguarda la trattativa del grano è palese l’interesse turco in quanto già dai mesi scorsi fonti del quotidiano turco Aydınlık, riportavano che l’Ucraina aveva bloccato 21 navi nel porto di Odessa.
Sembrerebbe che si tratti di 17 navi turche e altre 4 che navigano sotto bandiera turca. Tutte bloccate nel porto di Odessa a causa del fatto che l’Ucraina non rilascia autorizzazione a salpare citando una sorta di “pericolo” e riferendosi anche alle mine lasciate in mare.
Logicamente navi turche con grano caricato ( e forse pagato) bloccate fanno si che Erdogan si dia da fare atteso che questo carico quasi sicuramente è dedicato a finire sul mercato turco e non certo nelle aree di crisi africane. La storia recente mostra che il presidente turco guarda solo ai suoi interessi e alla traballante economia del suo paese che potrebbe prima o poi scaturire in una crisi profonda.
La Russia si è detta disponibile ad aprire un corridoio di sicurezza, ma si continua a non far passare nulla e c’è chi ha sospettato che sia vantaggioso per Kiev trattenere queste navi: queste navi sono come uno scudo umano per le forze ucraine che difendono Odessa.
Secondo un’altra versione le autorità ucraine non hanno fretta di rilasciare navi turche a causa di possibili provocazioni. Ad esempio, se durante un ipotetico assalto alla città l’esercito russo distruggesse una proprietà turca e ci sarebbe un paese terzo (NATO) coinvolto nel conflitto.
L’intervento delle Nazioni Unite e le dichiarazioni del governo di Kiev sono in direzione di una soluzione ma oggi, in un modo o nell’altro, risulta che l’uscita per le navi straniere dal porto di Odessa è ancora bloccata e questo sta provocando una gravissima crisi nei rifornimenti alimentari.
Comunque sia, visto l’interesse turco, l’accordo si farà e sarà ancora un accordo in cui la Turchia trarrà un vantaggio dalla crisi in atto. Forse è comunque un bene per il resto del mondo…forse.