La scorsa domenica il Presidente uscente dell’Ungheria è stato rieletto per la quinta volta con il 53% dei voti e un ampio vantaggio sugli oppositori, nonostante le previsioni contrarie della gran parte dell’informazione italiana ed europea. Senza entrare nella questione specifica ungherese tuttavia quanto avvenuto si presta ad alcune considerazioni di ordine generale.
Innanzitutto conferma che in Europa esiste un forte scollamento tra le élites (culturali, politiche, a volte anche religiose) che controllano la gran parte dei canali informativi, e il sentimento di molte popolazioni.
Avviene poi che, quando le elezioni sono vinte da un candidato non previsto o non gradito alle suddette élites, si va alla ricerca di eventuali brogli in mancanza dei quali non resta che accusare gli elettori di avere sbagliato a votare.
Servirebbe, ed è forse la cosa più importante, una seria riflessione sullo stato della democrazia in Europa e sul suo funzionamento, visto che ogni volta che si affermano candidati estranei all’establishment si opera in ogni modo per non riconoscerne il successo, anche ricorrendo a impropri paragoni storici.
La questione su cui riflettere alla fine è di questo tipo: che cosa è un vero sistema democratico e su cosa si regge?
Non sembri inutile ricordare che la democrazia come la conosciamo in Europa nasce nei monasteri benedettini dell’Alto Medio Evo; si diffonde nelle città italiane all’entrata nel secondo Millennio e trova una prima forte codificazione nella Magna Charta inglese ed è totalmente fondata sulla centralità della persona, cioè sulla sua capacità di esprimere un giudizio personale e libero sugli avvenimenti che la riguardano, in primis la costruzione della sua famiglia, la proprietà e la partecipazione alla vita pubblica della città in cui vive e opera.
È evidente che una tale posizione è stata resa possibile dall’educazione del popolo che il cristianesimo ha gradualmente introdotto nell’Europa: non un generico “uno vale uno” ma il valore unico di ogni persona come creata e amata dal Dio di Gesù Cristo, portatrice di diritti e responsabilità.
È inevitabile, a mio parere, che l’affievolirsi o il venir meno della presenza cristiana nella società europea finisca gradualmente per intaccare anche il valore della democrazia.
«L’Occidente farebbe bene a non sottovalutare la questione religiosa», scrive il sociologo Magatti riprendendo sul “Corriere della Sera” una sua precedente riflessione sul tema. «Non si dovrebbe dimenticare che l’Europa è l’unico continente in cui la rilevanza della religione nella sfera pubblica è ridotta a un lumicino (…). Liquidare le fedi religiose come qualcosa di anacronistico è un grosso errore (…). Il principio di laicità che l’Occidente ha interiorizzato per la vita politica dei singoli Stati nazionali è ben lontano da essere applicabile alla scala globale».
Le acute riflessioni di Magatti spiegano quanto accennavo all’inizio e cioè la sempre minore capacità delle élites di capire che cosa vogliono realmente le persone, dal momento che l’identità di ogni popolo è formata da un insieme di storie, eventi, valori che hanno preso significato dal loro fondamento religioso, proprio quello che le istituzioni europee continuano a sottovalutare, se non a negare del tutto.
Così avviene che ai popoli europei, dopo aver per decenni fatto balenare le meraviglie dell’utopia socialista (grazie a Dio miseramente crollata ormai da un trentennio), viene ora proposta una nuova utopia, quella dei valori europei che sarebbero per natura la nuova “terra promessa” del futuro.
Purtroppo anche i valori europei che si sbandierano oggi sono “nuovi”. Mentre quelli “vecchi” vengono trascurati per cui abbiamo magistrati che fanno politica e governi che annullano i parlamenti alla faccia della decantata divisione dei poteri; mentre questo avviene si misura l’europeismo dei diversi Paesi sull’adesione ai nuovi diritti come l’aborto senza limiti (vedi la posizione estremista del presidente Biden), il matrimonio “per tutti” indipendente dal sesso, la destrutturazione della personalità indotta dalla teoria del gender, il rifiuto della storia e della tradizione con la cancel culture che rimuove dal passato gli eventi che appaiono non politicamente corretti, l’accusa di discriminazione lanciata per ogni dove. È la cosiddetta cultura liberal di matrice americana che si diffonde in Europa ed è così poco liberale da non sopportare contradditorio.
Ma la peggiore conseguenza di tale cultura è che pretende di assegnare i ruoli nella vita pubblica e di decidere a priori chi sono i buoni e i cattivi in ogni situazione storica. È anche questo un segno dello smarrimento occidentale rispetto alla propria tradizione religiosa per la quale era chiaro che – come scrive su “Avvenire” monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto – «i desideri dell’uomo non riescono a rimanere nella giustizia neanche quando nascono come reazione all’ingiustizia subita. Il grido del papa “Fermatevi” non è un richiamo per anime belle ma una considerazione realistica sulla condizione umana». Così come la sua osservazione che «l’accrescersi mondiale degli strumenti di morte non può che favorire il potenziale distruttivo che l’uomo ha sempre dentro di sé per quella ferita originaria».
Grande è la responsabilità di chi ha compiti di governo in questo momento storico: per loro, e per tutti noi, può essere utile, a conforto e sostegno anche delle posizioni assunte da papa Francesco, questo passaggio della enciclica “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II: «Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro».
Che è quello che sta accadendo sotto i nostri occhi.