Da oggi venerdì 5 a lunedì 8 Marzo Papa Francesco sarà in Iraq. È un viaggio non privo di rischi se si tiene conto di quanto accaduto a Erbil il 16 Febbraio scorso, dove tre razzi lanciati dai “Guardiani del sangue”, miliziani sciiti filo iraniani, hanno causato il ferimento di sei civili, uno dei quali morto insieme ad un militare statunitense.
Come spiega un documentato dossier della rivista Oasis «tre sembrano essere gli assi portanti di questo viaggio: l’incontro con la comunità cristiana, il dialogo con l’Islam, soprattutto sciita, e la riflessione sulla crisi politica in cui l’Iraq si dibatte da decenni».
Su una popolazione stimata, nel 2019, in 38,8 milioni di persone, il Papa incontrerà circa 300.000 cattolici distribuiti in 122 parrocchie seguite da 172 sacerdoti (compresi 19 vescovi), 32 seminaristi, 20 diaconi permanenti, 48 religiosi e 365 religiose.
Assodato che in Iraq i cattolici non raggiungono l’1 per cento della popolazione – gli arabi sciiti sono circa il 60%; gli arabi sunniti 15-20% e i curdi, anch’essi prevalentemente sunniti il 15-20% – è palese la volontà di Papa Francesco di recarsi tra loro, sia per dare atto di quanto testimonino eroicamente la fede, sia per riaffermare la sua predilezione per coloro che vivono nelle periferie del mondo.
In Occidente varcare la soglia di una chiesa è un atto che si compie con naturalezza perché non implica alcun rischio, ma nei Paesi di forte tradizione musulmana può essere un gesto di eroismo che, in qualche caso, può persino portare al martirio.
In Europa la fede in Dio s’è molto affievolita, mentre le testimonianze del cristianesimo più vivo ci vengono dai Paesi della Mezzaluna fertile, del Magreb, dell’Africa e del lontano Oriente.
In Italia i musulmani pretendono spazi per erigere moschee, ma in molti loro Paesi ad un prete è concesso di celebrare l’Eucarestia esclusivamente nella propria camera d’albergo, se in transito e comunque sempre in forma privata e in un luogo appartato. Di fatto ai cristiani o è vietata, o è limitata la testimonianza pubblica della propria fede.
A Francesco sta a cuore il dialogo islamo-cristiano e certamente, avvicinando là delle Autorità religiose musulmane, mostrerà di volerlo ulteriormente accentuare.
C’è da augurarsi che la sua proposta di fratellanza tra i popoli, che trascende le frontiere fisiche dei territori e ben riassunta nelle quattro parole chiave “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” sia recepita in egual misura dall’ayatollah al-Sistani, che incontrerà il 6 Marzo nella città santa di Najaf, dove sono conservate le spoglie di ‘Ali, il cugino e genero di Muhammad che gli sciiti riconoscono come primo imam.
I cristiani in Iraq, infatti, in meno di 20 anni, sono passati da circa 1,5 milioni a 590.000 a causa della guerra, ma ancor più a seguito dell’occupazione della Piana di Ninive da parte dello Stato islamico.
La speranza di una rinascita delle comunità cristiane in Iraq è direttamente proporzionale al tasso di tolleranza che l’Islam saprà esprimere nei luoghi dove è maggioranza religiosa.
Papa Francesco poi, immaginiamo, esorterà all’unità la Chiesa cattolica in Medio Oriente che, per una serie di intricate vicende storiche, contempla ben sette diversi Riti: caldeo, copto, siriaco, armeno, melkita, maronita e latino.
Nella loro prima lettera pastorale del 1991 i Patriarchi cattolici d’Oriente avevano ammonito: «In Oriente, o saremo cristiani uniti o non saremo».