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Giornata del Ricordo: l’on. Mascaretti scrive al Sindaco di Varese
Andrea Mascaretti, deputato di FdI, ha chiesto ospitalità al nostro giornale per inviare una lettera al sindaco di Varese, Davide Galimberti.
Al Sindaco di Varese Davide Galimberti:
al Quirinale per la cerimonia del “Giorno del Ricordo”, ho trovato nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e nella lettura delle commoventi pagine del libro Bora: Istria, il vento dell’esilio, il senso profondo di tutto ciò che rende il 10 Febbraio un giorno inviolabile.
Senso, che evidentemente sfugge sia a chi ha organizzato, proprio il 10 Febbraio, una manifestazione politica, sia a chi l’ha autorizzata concedendo la sede del Comune di Varese per quel giorno.
Di seguito, quella breve, ma intensa parte del libro, che è stata scelta per la cerimonia al Quirinale. Subito dopo, le parole tratte dal discorso del Presidente Mattarella.
Spero che entrambe, possano essere utili al Sindaco di Varese, Davide Galimberti, per una profonda riflessione.
“Mio zio Aurelio era stato arrestato sul sagrato della chiesa e portato al comando slavo di Pola, insieme agli altri civili e militari italiani: l’unica colpa che avevano era di essere italiani!
Zio Aurelio fu giudicato un traditore trattenuto insieme agli altri. Gli slavi potevano ammazzarli in mille modi, perché le foibe? Forse non volevano lasciare tracce. Volevano occultare quei corpi martoriati in modo che fossero introvabili.
Prima li hanno conciati per le feste, torturati tutta la notte. Dopo mezz’ora zio Aurelio non sentiva più nulla, avrebbero potuto anche tagliarlo a pezzettini per quanto lo riguardava, ormai il corpo privo di riflessi non reagiva più.
A un certo punto gli hanno ordinato di alzarsi e con gli occhi ha cercato intorno a sé. A un tratto nello stanzone entrarono due ufficiali, un uomo e una donna.
Quest’ultima ordinò che il più alto, ossia mio zio, doveva stare alla testa del gruppo, allora l’altro ufficiale afferrò mio zio per i capelli e strattonandolo lo spinse davanti alla donna, la quale senza dire una parola gli spaccò la mascella sinistra con il calcio della pistola.
Poi, lo misero alla testa della colonna con l’ultimo che non riusciva a stare in piedi forse perché lo avevano massacrato più degli altri o forse perché più debole di costituzione.
Il fil di ferro era penetrato nella carne dei polsi causando tagli profondi che facevano sussultare quei disgraziati al minimo movimento.
Li portarono fuori seminudi senza scarpe. Il fresco della notte riscosse per un po’ mio zio dall’intontimento ma il suo cervello era come inerte.
A quel punto altri soldati li presero in consegna e li condussero verso il bosco. Controllarono che ognuno di loro fosse ben legato e poi li legarono una seconda volta l’uno all’altro tutti insieme con un filo di ferro che scorreva sotto il braccio sinistro di ciascuno per formare una fila dritta fino ad arrivare all’ultimo che giaceva svenuto a terra.
Poi, giunsero nel luogo prestabilito; l’infoibamento era l’ultima fase della tortura, in tono pacato il Comandir annunciò che era loro dovere liquidare i fascisti quegli stessi che gli avevano riempito due volte lo stomaco di olio di ricino e alla fine gridò:”Morte al fascismo! Libertà al popolo! Morte al fascismo! Libertà al popolo! ripeterono gli altri.
Sospinti a calci e bastonate i prigionieri avanzarono alla cieca inciampando, le bocche sanguinanti, le braccia bloccate fin sull’orlo della voragine, erano schierati sul bordo sinistro del buso della volpe, un nero abisso dove non potevano penetrare né il sole né l’occhio.
Dopo un volo infinito di 15 o 20 metri, accompagnato dalle urla di dolore per gli schianti contro le rocce, lo zio piombò nell’acqua cinerea dopo aver sbattuto la faccia contro uno sperone.
Quando tornò in sé lassù in alto albeggiava, lui perdeva sangue dalla bocca e la mandibola gli ciondolava come un morso.
Teso e muto, riuscì a liberare le mani e ad andare verso l’alto aggrappandosi a quella che credeva una zolla dell’erba, ma presto capì che quella era la testa di un uomo che rantolando chiedeva aiuto.
Allora l’afferrò, la tirò a sé con la morte nel cuore e una furibonda volontà di non mollare e cominciò a risalire verso quel dito di luce lassù.
Quando raggiunse l’orlo del precipizio, un lontano frinire di grilli cessò di colpo”. (Da Annamaria Mori e Nelida Milani – Bora: Istria, il vento dell’esilio)
“Non si cancellano pagine di storia, tragiche e duramente sofferte. I tentativi di oblio, di negazione o di minimizzare sono un affronto alle vittime e alle loro famiglie e un danno inestimabile per la coscienza collettiva di un popolo e di una nazione” (Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica)